Riflessioni tra medicina e teologia relative il convegno dal titolo ” La cura della vita- salute e salvezza dopo alla pandemia” (Biblioteca Cantonale di Lugano – 11.02.2023)

«Corpore et anima unus» – Unità di anima e di corpoL’arte impreziosisce il lavoro matematico dell’architetto proprio come la spiritualità arricchisce il lavoro scientifico del medico. Il convegno, sul tema della sanità e della religione -tenutosi nella Sala Tami della Biblioteca Cantonale di Lugano, capolavoro architettonico in cui armonia delle forme e matematica convivono- è stato un bellissimo matrimonio tra medicina e spiritualità.

A questo evento hanno preso parola il Vescovo Alain de Raemy e Raffaele de Rosa, direttore del dipartimento della socialità e della sanità, importanti professori universitari, medici e sacerdoti e, soprattutto, persone che col loro impegno tra i malati durante la pandemia ci hanno potuto donare la loro testimonianza.

L’evento si è strutturato in due blocchi: la prima parte si è occupata delle questioni teologiche ed etiche della cura, la seconda parte ha invece ripercorso i dolorosi momenti della pandemia attraverso lo sguardo di chi accarezzava la mano delle persone ormai prossime alla morte.

Eroe deriva dal greco Eros, Amore: Il medico ed il sacerdote, l’infermiera e la suora, l’umile cristiano che porta la spesa alla vicina di casa malata e il laico che, con tenerezza, offre un abbraccio ad un anziano abbandonato sono stati i grandi eroi di questa pandemia.

Come scrisse Sant’Agostino il fine- e il mezzo – dell’ascesi cristiana verso alla Santità è l’amore, e il settore sanitario è quello in cui vi è maggiormente bisogno di questo elemento proprio a causa della situazione fragile degli “ultimi” bisognosi di cure. L’uomo è fatto di anima e corpo e, a dispetto delle teorie dualistiche tanto care ai catari. Questi due elementi non sono scindibili l’uno dall’altro: pertanto pensare ad una medicina che degradi l’uomo a mero ammasso di cellule , senza tenerne in considerazione anche l’anima, è svilente. Ed è proprio in prossimità della soglia verso alla resurrezione, cioè durante le cure palliative, che sorge nel cuore dell’uomo il bisogno di lenire i dolori della carne parlando di questioni relative lo spirito. Sentendosi amato.

PRIMA PARTE: AMARE I CORPI CON LE LORO ANIME –– la cura è nella RELAZIONE

L’evento è stato introdotto da Luca Santini, apprezzabile perchè in poche parole ha saputo sintetizzare il tema dell’incontro . Ornato da una bella cravatta e con una giacca elegante, ha mostrato con un linguaggio non verbale l’importanza di una coerenza tra forma e sostanza: la stessa coerenza che deve esservi tra anima e corpo. Ha parlato del libro Noi Umani, di Frankwesterman, e del fatto che ciò che ci differenzia dagli altri ominidi è la capacità di prenderci cura dell’altro, nella sua interessa biologica e trascendentale, con la medicina e con la religione. L’inizio dell’umanità è, quindi, da situarsi in quel passato remoto in cui i nostri antenati hanno cominciato a compiere riti funebri, dopo aver cercato di curare il morente, differenziandoci dalle altre creature.

Essendo un politico -e quindi dovendo servire il bene comune,-Raffaele de Rosa ci ha ricordato l’importanza di un gesto fondamentale come il tenerci la mano. Citando l’enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco ci ha esortati a ricordarci la fratellanza. La fratellanza è un valore fondamentale soprattutto oggigiorno, che viviamo in una società sempre più individualista e materialista. Occupandosi della Res Pubblica ha voluto evidenziare l’importanza dell’amore e della cura dell’altro in ambito politico: da qui l’importanza di promuovere una società sempre più sociale ed inclusiva capace di staccarsi dalla frenesia del consumismo per valorizzare i legami umani. “Abbiamo bisogno di più abbracci e strette di mano, cura ed affetto”: semplici parole ma grandissime, quando dette da un consigliere di stato.

Raffaele de Rosa, Consigliere di Stato e Direttore del dipartimento della Socialità e sanità -“Per una società migliore servono più abbracci e strette di mano, cura ed affetto”

Il Vescovo Alain ha parlato dell’importanza della presenza cristiana verso chi soffre. Nel Vangelo secondo Matteo si legge che Gesù dice “ero malato e mi avete curato” : da qui l’importanza della comunità dei cristiani adoperarsi per la cura del prossimo. La salute e la salvezza sono imprescindibili dalla pace del cuore, ed è per questo che il ruolo dei cristiani è importantissimo al’interno dell’ambito sanitario. E’ per questo motivo che il Vescovo Alain ha da poco, infatti, nominato un delegato per la pastorale sanitaria.

I tre studiosi dell’animo umano, Giovanni Ventimiglia, filosofo; Don André-Marie Jerumanis, teologo e Graziano Martignoni, psichiatra, sono stati introdotti dal giornalista Luigi Maffezzoli che ha ribadito l’importanza dell’assistenza spirituale in tutti gli ambiti, ma soprattutto in quello sanitario. Ricordando le persone morte di Covid ha anche voluto anche lanciare una piccola provocazione, interpellando noi presenti: quanto siamo stati noi personalmente presenti, come cristiani laici, durante la pandemia, vicini a chi aveva bisogno?

A questa domanda ha dato una bellissima risposta il professor Don André Jerumanis, professore e membro del comitato bioetico dei vescovi svizzeri, parlando degli oltre 200 sacerdoti italiani morti dopo aver contratto il virus occupandosi dei malati negli ospedali. Ha detto che tema centrale della fede cattolica è proprio la carità, che mi manifesta nella cura. La parola greca Terapein, infatti, nei vangeli compare ben 43 volte: Cristo, ha puntualizzato, salva e cura. Don Andrè Jerumanis ha anche raccontato un aneddoto curioso legato al concilio di trento (1545-1563), ossia il fatto che a quei tempi i teologi si chiedessero se fosse possibile dare al Cristo anche l’appellativo di medico. Dopo anni di elucubrazioni si è giunti alla conclusione che no, l’appellativo di medico non è sufficiente a descrivere il Salvatore, in quanto egli cura la carne ma è anche portatore di redenzione dell’anima. Il Cristo ci invita a scoprire quella che è la teologia dell’amore, l’unione tra l’orizzontale (amore tra uomini) e il verticale ( amore tra uomo e Dio) in modo da poter praticare il nostro cammino verso alla santità.

L’intervento dello psichiatra e professore della supsi Graziano Martignoni è stato molto suggestivo: con vena poetica ed una ars orandi meravigliosa, il dottore della mente – con una giacca tirolese di rara eleganza – ha caricato il convegno di pathos. Ha esordito citando il filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten e la sua constatazione dello stare tra i segni del tempo: consapevoli dei temporaleschi tempi odierni noi dobbiamo rispondere alla chiamata dell’occuparci dell’anima del prossimo. In mezzo a questi tempi di povertà dobbiamo, come cristiani, stare qui al servizio della gente. Dobbiamo essere la cura, Farci cura. Citando Emmanuel Levinas ci ha esortati ad amare Cristo nel viso dell’altro attraveso la pratica della carità, ossia l’atto amorevole di prendersene cura. Con la delicatezza del poeta Martignoni ha anche dipinto una bellissima metafora che vede chi si occupa della cura come i giardinieri di un giardino che col loro lavoro consentono ai fiori più belli di crescere. Gli operai della cura, medici, infermieri, professionisti ma anche amici che compiono atti di gentilezza, sono come gli operai di un giardino che col loro impegno lo rendono prezioso, bellissimo e rigoglioso. Siamo tutti corresponsabili della bellezza di questo giardino che ci circonda: dobbiamo prendercene cura l’uno con l’altro, l’uno attraverso l’altro. L’essere umano, che è fatto di corpo, anima e mente, è mosso dallo Spirito Santo, il Ruach, che è il vento dello spirito che ci consente, come un veliero, di attraversare saldi anche questi tempi tempestosi, fragili e postmoderni feriti dalla pandemia di Covid. Solidarietà, tenerezza, fratellanza e gentilezza sono gli strumenti con cui noi possiamo riscrivere il mondo: sta a noi lavorare nel creato praticando un rinnovato ORDO AMORIS nella quotidianità.

Molto utile il discorso del professore Giovanni Ventimiglia: ha, in poco tempo, illustrato che tipo di comportamento deve tenere una persona empatica nei confronti del prossimo. Cercare di sminuire i dolori di una persona pensando di aiutarla non è una buona soluzione, è meglio infatti stare in silenzio ed abbracciarla concentrandosi sulla relazione. Nei momenti di dolore è meglio non dare una risposta razionale, bensì concentrarsi sulla relazione. Le quattro caratteristiche della persona empatica sono : capacità di comprendere le emozioni, assenza di giudizio, capacità di riconoscere le emozioni e saperle comunicare. E, soprattutto, far sentire l’altro amato emotivamente, ancor prima che compreso a livello razionale. Una persona vicina alla morte a volte, non desidera risposte razionali o teologiche alla sua situazione, ma semplice affetto. La domanda che ha posto Ventimiglia, in seguito a queste lezioni, è stata la seguente: quanto la chiesa è riuscita, durante la pandemia, ad essere empatica? A volte si trovano dei consolatori molesti che riempiono di risposte i sofferenti, quando in realtà l’unica cosa di cui hanno bisogno è ima connessione d’amore. Gesù relativamente questo tema è stato esemplare: egli, infatti, prima di resuscitare Lazzaro ha pianto. Il miracolo della resurrezione del malato avviene attraverso le lacrime, l’atto di compassione. La chiesa, se non piange con chi sta morendo, di cosa può occuparsi?

Al capezzale di un malato terminale chi si occupa di spiritualità deve, più che dare risposte, condividere le domande. Ed amare. La relazione umana, ben oltre la capacità di dare risposte mediche o filosofiche, è ciò che davvero conta.

SECONDA PARTE – ANGELI IN CORSIA: CAMICI E COLLARI BIANCHI IN MEZZO AL SANGUE ROSSO

La seconda parte dell’evento è stata dedicata non alla contemplazione dei concetti metafisici ma al toccare con mano le ferite di Cristo, con cui l’operatore sanitario si trova confrontato quotidianamente attraverso i suoi pazienti.

Le testimonianze sono state molto toccanti e, soprattutto, sono state molto utili per rielaborare la pandemia in modo da non sprecare gli insegnamenti che essa, pur nella tragedia, ci ha potuto dare.

Hanno preso Rita Monotti, medico, già primario dell’Ospedale La Carità di Locarno, padre Michele Ravetta, cappellano dell’Ospedale La Carità di Locarno, Grazia Buono, infermiera BeeCare, Lara Allegri, infermiera specialista in cure palliative, Monica Mautone, paziente, don Sergio Carettoni, coordinatore diocesano delle Pastorali e di Settore.

Le loro esperienze a stretto contatto con la morte, tra cadaveri lasciati sulle barelle perchè non vi era più spazio nelle celle frigorifere o anziani disposti a morire da soli in una stanza pur di non contagiare i parenti amati, sono state estremamente intense. Impossibile trattenere le lacrime di fronte all’intensità del racconto di Lara Allegri, che ad un certo punto pur di curare il prossimo si è ritrovata contagiata ed impossibilitata ad aiutare, ed impossibile non commuoversi ascoltando la dolcezza con cui Grazia Buono parlava degli anziani dalle manine piccole e gracili che accompagnava nei loro ultimi momenti. La cosa più stupefacente è stata rendersi conto di come è proprio nei momenti più difficili e terribili, come quello della pandemia covid, che l’essere umano riscopra l’importanza della Carità.

Bellissimo l’intervento di Don Michele Ravetta, che con eroismo ha servito in ospedale comprendendo quanto in quel momento di dolore fosse importante la chiamata all’amore verso al prossimo, da portare avanti in ogni modo possibile, dal servizio medico al volontariato sino alla vaccinazione, fatta come atto di misericordia verso a chi è più fragile. Ha parlato della difficoltà del fare il cappellano durante la pandemia e di come si fosse trovato confrontato a situazioni terribili, come il dover riconsegnare la fede nuziale al coniuge sopravvissuto o il consolare un’infermiera rannicchiata, in lacrime, in una stanza dopo all’ennesimo decesso per covid. Si è trattata di una pastorale da guerra, dove anche la comunione doveva essere portata avvolta in un cleenex per scongiurare il contagio. QUesto momento ha però fatto sorgere una serie di considerazioni preziosesull’importanza della vita e del fatto che la chiesa debba essere in prima linea nell’assistere i malati. Alla fine del suo discorso sono sorte considerazioni interessanti sul ruolo dei ministri consacrati nell’ambito sanitario e in particolare si è chiesto: ” Quale profilo formativo deve esigere la chiesa da chi si occupa dei malati?”

Il convegno si è concluso con l’interessante testimonianza di Don Sergio Carettoni, che ha fatto capire quanto, anche in presenza di persone che non credono, sia importante la presenza di personale formato nel dare sostegno spirituale. Ha parlato della struggente storia di una coppia di giovani sposi, dichiaratamente atei, che in prossimità della morte hanno sussurrato

” Noi non siamo credenti. Ma in questo momento abbiamo bisogno di Dio”.

dott.ssa Liliane Tami