ONG sta per organizzazioni non governative, volendo così sottolineare l’indipendenza nei confronti dell’autorità statale. Ve ne sono nel mondo migliaia, alcune molto importanti e con bilanci plurimilionari, finanziate dacontributi dei singoli e da importanti somme versate da Stati e enti pubblici.
Oltre alla filantropia, talune sono impegnate in azioni voltealla difesa e al cambiamento di aspetti del mondo. Godono di ampia risonanza e influenza nei media.
Lo spunto per parlarne me lo ha dato un articolo apparso sul numero di novembre di Prospect, una rivista inglese liberal. L’autore si preoccupa del futuro di alcune delle grosse ONG che avrebbero perso reputazione edefficienza negli anni passati. A proposito della reputazione cita lo scandalo di Haiti dell’Oxfam dove aiuti e beneficienza venivano pagati con il sesso locale. Unoscandalo simile nel Congo. Pure criticate le non gradite attenzioni di collaboratori nei confronti del personale femminile in Inghilterra.
L’Oxfam è una delle importanti ONG nel mondo, presente in numerosissimi Paesi, con un bilancio sul mezzo miliardo di dollari o forse più, sussidi da vari governi. Ha ricevuto contributi annui dal Governo inglese e dall’UE nell’ordine di decine di milioni di Sterline. Cifre che impongono responsabilità.
L’articolo cita simili indegne vicende concernenti altre ONG importanti quali Save the Children, Médecins sans frontières e lo scandalo, ai tempi dell’ebola, di centinaia di donne africane violentate.
L’autore giunge a due conclusioni. La prima è che le ONG dovrebbero rinunciare a pretendere di darsi l’immagine del “good guys” e la seconda che dovrebbero limitarsi alla raccolta di fondi, lasciandone distribuzione e utilizzo ad organizzazioni dei singoli Paesi interessati, evitando atteggiamenti considerati colonialistici. Ma, aggiungo io,dimenticando la piaga dell’endemica corruzione di molti paesi beneficiari. L’articolo di Prospect mi suggerisce alcune considerazioni.
Molte ONG fanno un pregevole lavoro grazie anche alla ammirevole dedizione e all’impegno di persone perbene.
Non devono però dimenticare, e questo vale particolarmente per le più importanti, quelle che non vogliono solo assistere i bisognosi ma cambiare il mondo, che sono istituzioni umane, operano tramite umani con le loro debolezze, difetti e pregiudizi.
Sono del tutto ingiustificati atteggiamenti di superiorità, di depositari del giusto e del vero nei confronti degli “altri”,che talvolta traspaiono nei loro modi di porsi e nella foga portano addirittura alla violenza. Green Peace docet(Patrick Moore: Confessions d’un repenti de Greenpeace).
Il fanatismo porta sempre alla cecità e ottura il cervello.
L’altro aspetto che disturba è l’uso della filantropia per faresurrettiziamente politica, per inserirsi nel dibattito, dandol’impressione di un’imparzialità e lucidità di giudizio che i partiti politici non avrebbero. Oltretutto usando mezzi che i diversi donatori e enti statali hanno dato per altri fini e scopi di altra natura. Prendiamo il caso di Oxfam citato nell’articolo del Prospect.
Ha pubblicato studi sulla disuguaglianza economica giudicati tendenziosi per i metri di valutazione. È vero, i ricchi sono peccatori ma attenzione a credersi legittimati,a scagliare la prima pietra… Peggio ancora la campagna contro Israele e pro Palestina iniziata già anni fa con un poster in Belgio chiaramente e pesantemente antisemitico.
In Svizzera ricordiamo quelle ONG che, grazie anche asussidi dalla Confederazione, hanno speso durante tre anni una quindicina di milioni di franchi nell’organizzazione di una campagna tesa ad ottenere l’emanazione e di una legge che rendeva più difficile l’operatività di imprese svizzere in Paesi in via di sviluppo. Pur rispettando certe sensibilità e ingenuità ciò lascia perplessi. Malgrado possibili errori e eccessi questa presenza operativa è anche un modo per collaborare all’economia di tali Paesi. Ostacolandola non si favorisce lo sviluppo.
Campagne ideologiche possono rallentare l’aiuto a un mondo che ne ha molto bisogno.
Per concludere trovo ingenua la proposta di Prospect – forse influenzata da complessi anti colonialistici – di affidare la distribuzione delle somme raccolte alle struttureed organizzazione di Paesi beneficiari ignorando impreparazione e corruttela esistenti.
Più efficiente sarebbe la formazione di quadri nei singoli Paesi.
Dodici anni fa l’allora Presidente Martinoli ha istituito all’Università della Svizzera Italiana una cattedra di Humanitarian Logistics, finanziata dalla Fondazione Fidinam, con l’intento di formare manager per leemergenze e difficoltà delle quali soffrono i Paesi in via di sviluppo. Cattedra a quei tempi forse unica in tutta Europa. Nell’arco di dodici anni ha formato studenti e futuri dirigenti di 60 nazioni, in prevalenza provenienti da Paesi con note difficoltà.
Non mi consta che la burocrazia federale e cantonale abbiano dimostrato un grande interesse per l’iniziativa, e neppure l’opinione pubblica. Peccato.
Il progresso passa attraverso i tempi lunghi dell’evoluzione (che attira meno di illusioni e proclami bombastici). Bisogna formare i quadri necessari, passo indispensabile per una solida evoluzione.
Ma forse l’iniziativa potrebbe non incontra molti favoriperché sospetta di “colonialismo”?