di Tito Tettamanti
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nasce alla fine dell’ultima guerra mondiale (1945). Lo scopo principale allora era di assicurare la sicurezza al e nel mondo. Oggi vi fanno parte 193 nazioni ed è articolata nell’Assemblea Generale ed una serie di consigli e organizzazioni.
La struttura, afflitta dalla bulimia burocratica, è costata nel 2020 oltre 62 miliardi di dollari contribuiti per 20 miliardi dagli USA, il resto dagli altri membri con l’esclusione di una quarantina non in grado di far fronte all’impegno finanziario. Si legge che il costo per il decennio 2010-2020 è stato di 540 miliardi di dollari.
Qualcuno critica il numero di dipendenti ritenendo che l’Organizzazione con le sue ramificazioni sia anche un ottimo ufficio di collocamento per politici fuori corso o delegati di nazioni emergenti. Si parla oggi di una pesante crisi e le ragioni maggiori sarebbero due. Nel 1945 gli USA erano il potere egemone e l’ONU sarebbe dovuta essere lo strumento tramite il quale gli americani avrebbero potuto e dovuto garantire la sicurezza nel mondo.
Purtroppo da tempo non è più così. Non solo, ma nel Consiglio di Sicurezza, l’organo più importante dopo l’Assemblea e concepito come lo strumento per assicurare la pace, i rapporti tra gli Stati sono degenerati. Membri permanenti sono gli USA, la Cina, la Russia, Francia e Inghilterra. In realtà USA e Russia si fanno la guerra tramite l’Ucraina. La Cina vuol soppiantare, armandosi sempre più, gli USA nell’egemonia e conquistare Taiwan che si appoggia all’America per la propria difesa. Francia e Inghilterra, due potenze medie, hanno gli unici due veri eserciti che esistono in Europa, ma si presume che in una effettiva conflagrazione resisterebbero qualche settimana. Poi a turno appartengono al Consiglio altri dieci Stati con un ruolo poco più che decorativo.
In questi anni vi è la Svizzera la cui presenza rammenta la favola della rana e del bue. Singolare atteggiamento di un’ondivaga politica di neutralità che non sa resistere alle lusinghe del “ci sono anch’io”.
Il successo diplomatico è figlio dell’intelligenza e autorevolezza di chi sa influire senza apparire, specie se vuole avvalersi della qualifica di neutro.
La seconda crisi dell’ONU è figlia del mutamento dei rapporti di forza nell’Assemblea. La maggioranza dei 193 Paesi è oggi chiaramente non democratica, quando non addirittura autoritaria o dittatoriale.
Gli esponenti della civiltà occidentale, dalla tradizione democratica e liberale, sono ormai in minoranza e indeboliti. L’infelice dichiarazione a proposito di Israele, che ha completamente sottaciuto il criminale atto di Hamas e le relative vittime, (votata ahimè anche dalla Svizzera) e presentata dall’influenzabile segretario generale António Guterres, già Primo Ministro socialista del Portogallo, è la prova più evidente del pensiero antioccidentale della maggioranza.
Con simili criteri è stato possibile eleggere l’Iran a presiedere il Forum dei diritti umani senza arrossire, dimenticando tra l’altro le 659 persone che a cavallo tra il 2022 ed il 2023 Teheran ha condannato a morte per impiccagione.
A proposito di tali indegni squilibri dell’ONU già lo scorso anno in un mio Commento ho rilevato l’inaccettabile atteggiamento di censura, elencando le 317 pretestuose critiche rivolte alla Svizzera dalle 53 nazioni componenti il Consiglio dei Diritti umani. Certo che se il Camerun vuole che ci battiamo contro ogni tipo di razzismo e l’Afghanistan si dice preoccupato perché la Svizzera non fa abbastanza per riunire le famiglie è difficile contenere lo scoppio di ilarità, aggiungendo che “il n’y a que le ridicule qui tue”.
La Russia poi si inalbera perché ritiene le condizioni nelle carceri della Svizzera romanda troppo dure e affollate (!!), comprensibile da loro il dissidente Navalny muore in solitudine in carcere per le botte e per il freddo polare. Ma mi indigna maggiormente il modo accondiscendente con il quale la Svizzera risponde: invece di un cortese ma secco “afin de non recevoir”, si presenta al dibattito con una delegazione di una ventina di ambasciatori e alti funzionari impegnati a dire “la prossima volta faremo meglio”.
Purtroppo gli Stati che appartengono alla civiltà occidentale, probabilmente anche per non irritare qualche cervellotica frangia di elettori, non osano opporsi e difendere quei principi e valori che ci hanno fatto grandi, forse pure per paura di venir tacciati di residuo colonialismo.
La convinzione di Francis Fukuyama e la speranza da lui espressa nella sua opera “La fine della storia e l’ultimo uomo”, alla quale ingenuamente, lieti di non aver più pensieri, abbiamo tutti aderito, si è rivelata fallace.
Forse è tempo di rivalutare Samuel P. Huntington (“The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order”). Per rimettere ordine non dobbiamo ricorrere o lasciarci sviare da dibattiti ideologici (analisi marxiste) dagli scontri economici ma studiare e prendere atto delle differenze e individuare i modi di convivenza tra le diverse civiltà, le diverse culture con radici millenarie che non si cancellano con superficiali forme di meticiaggio e neppure arrendendosi.