Lo scorso 19 novembre il giornalista e scrittore Massimo Fini ha compiuto 81 anni: il dato anagrafico come si vedrà è fondamentale nel delineare la personalità di Fini, un uomo che, vent’anni prima , all’età di sessant’anni , scrisse un libro semi-autobiografico intitolato “Ragazzo, storia di una vecchiaia” facendolo significativamente iniziare con queste parole “Ho da poco compiuto sessant’anni, molti mi dicono che è ancora troppo presto per scrivere sulla vecchiaia”.
Abbiamo detto che il dato biografico è fondamentale per comprendere l’uomo Fini, un uomo che, superata la conradiana linea d’ombra della “vecchiaia” rappresentata nel suo vissuto dal compimento dei sessant’anni, pare aver assunto quasi un’altra identità , come se superata questa linea d’ombra a un “giovane” Fini si fosse contrapposto un “vecchio” Fini dalle caratteristiche del tutto differenti.
Il giovane Fini fu l’autore di un testo “Elogio della guerra” rimpiangendo che la sua generazione non avesse avuto (come le precedenti) l’esperienza della guerra e sostenne le ragioni dell’intervento britannico nelle Falklands , il vecchio Fini scrisse , sulla guerra, le stesse cose che dicono ai concerti Jovanotti e Ligabue.
Il giovane Fini fu praticamente l’unico giornalista di una certa rilevanza a sostenere la Lega di Umberto Bossi al suo esordio nell’agone politico, elogiandola come un fenomeno di riscoperta delle proprie radici, il vecchio Fini giunse, quasi a scusarsi dell’essere stato “leghista” dall’espungere dalla sua antologia giornalistica “senz’anima” gli articoli dell’Indipendente” più scopertamente vicini alla Lega (alcuni dei quali tra l’altro molto belli).
Il giovane Fini mise alla gogna quell’inverecondo salotto giornalistico che fu il “Maurizio Costanzo Show” , il vecchio Fini ne fu ospite .
Il giovane Fini scrisse un dissacrante ritratto di Vittorio Sgarbi, il vecchio Fini nel fece l’elogio.
Il giovane Fini è stata una persona aperta sul mondo, il vecchio Fini un uomo perso in se stesso e nel ricordo delle vicende più minute della sua vita , ripetute per l’ennesima volta come spesso capita agli anziani.
Il giovane Fini significativamente scrisse un articolo intitolato “contro i giovani” in cui stigmatizzò la retorica giovanilista e irrazionalista del “largo ai giovani” come tipico delle dittature totalitarie , il vecchio Fini è affascinato proprio da quella retorica, che nel nuovo millennio è rappresentato dai totalitarismi islamici mediorientali.
Il giovane Fini assunse , sui più rilevanti casi giudiziari del dopoguerra, posizioni garantiste e rispettose dei diritti degli indagati, il vecchio Fini, in odio a Berlusconi, si intruppò con le peggiori fazioni giustizialiste, quelle dei cosiddetti girotondini.
Potremo continuare ancora per molto , pur consci del rischio di una lettura eccessivamente manichea (anche da “vecchio” , vivaddio, Massimo Fini ha continuato a scrivere cose profonde e condivisibili) , ma è ormai chiaro che la dicotomia tra le due personalità assume aspetti più psicologici che non razionali : ad un giovane spavaldamente sicuro di se e convinto di poter fare dantescamente parte a se si contrappone un vecchio, ormai conscio dei suoi limiti anche e soprattutto fisici (impietosa è la descrizione che il vecchio Fini fa delle sue vicende di salute), e pertanto bisognoso della benevolenza delle corti un tempo disprezzate: va dato atto al giovane Fini di essere stato tra gli ultimi epigoni di una nobile tradizione italiana , da Vittorio Alfieri a Curzio Malaparte, quella dell’uomo di cultura fustigatore del potere , nel vecchio Fini Alfieri è ormai stato sostituito dal Metastasio.
Spiace che nella gabbia esistenziale prima che fisica della vecchiaia Fini si sia rinchiuso lui stesso, ancora relativamente giovane di età , quando forse un maggior equilibro tra soma e psiche nel suo vissuto l’avrebbe preservato dall’abbraccio della “ Atra senectus” , la cupa vecchiaia.
Nonostante tutto, cento di questi anni, Massimo Fini.
Fabio Traverso