“Mi chiamano il re più potente del mondo. Ma ora, su questo giaciglio di piaghe e sudore, io sono solo un uomo, fragile, disfatto. Ogni ora che passa è una battaglia contro un dolore che non arretra, una febbre che mi arde come l’inferno stesso.

Le mie membra non mi obbediscono più. La carne si stacca, marcisce. I miei medici — ah, quei sapienti che temono più di dirmi la verità che la morte stessa — mi toccano con mani tremanti, ma nessuna pomata lenisce, nessuna scienza consola.

Eppure, accetto. Perché tutto questo, tutto questo dolore, non è che una purificazione. Il Signore mi ha dato tanto: un impero vasto, il potere, la gloria… ma anche il peso delle anime. Quante volte ho firmato decreti sapendo che portavano morte, in nome della Fede, in nome dell’Ordine? E ora sento su di me il peso di quelle anime. Mi giudicano? Le sento. A volte, di notte, le sento sussurrare.

Ho chiesto che mi vestano con un saio, umile, da frate, perché nessuna corona, nessun velluto potrà proteggermi dal Giudizio. Sento che mi avvicino alla fine. Non temo la morte. Temo l’eternità.

A mio figlio lascio un regno, ma anche una croce. Gli diranno che è re per volontà di Dio, ma che non dimentichi: ogni re è anche servo, e al termine del cammino si presenterà nudo, come Adamo, davanti a Dio.

Il respiro si fa corto… la luce vacilla…

Signore, perdona il tuo servo. Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam…”