
di historicus
Navigando – come faccio periodicamente – per internet, ho trovato una presentazione molto
interessante che aiuta a capire ciò che sta succedendo intorno a noi in diversi paesi e ambiti
nazionali e internazionali. Ecco la trascrizione (con ritocchi):
Introduzione
Ci siamo mai chiesti, guardando una figura potente, come ha fatto una persona così ad arrivare così
in alto? Perché così spesso vediamo la mediocrità ai vertici, mentre l’intelligenza autentica e
l’integrità restano ai margini? È un difetto del sistema o è il sistema che funziona esattamente come
previsto?
Per rispondere dobbiamo rivolgerci a uno fra i pensatori più fraintesi della storia: Niccolò
Machiavelli, celebre per la sua lucidità spietata sul potere. Machiavelli analizzò i sistemi politici
senza illusioni, ma se combiniamo le sue intuizioni con ciò che oggi sappiamo dalla psicologia,
emerge una verità inquietante ma coerente: la stupidità spesso ha successo perché si adatta meglio
alla logica brutale dell’influenza; l’intelligenza, soprattutto quella morale, può diventare un
pericoloso svantaggio.
L’intelligenza come ostacolo
Al centro di questo paradosso c’è una verità scomoda: le stesse qualità che rendono una persona
saggia, tendono a renderla politicamente vulnerabile. Machiavelli scrisse: “Tutti vedono ciò che
sembri, pochi vedono ciò che sei veramente.” Non è solo un avvertimento, è una chiave per
comprendere il funzionamento del potere. In politica la percezione spesso conta più della realtà. Le
persone veramente intelligenti ragionano in modo sfumato, mettono in discussione le premesse,
riconoscono l’incertezza, valutano ogni lato della questione. Ma proprio queste capacità generano
cautela, esitazione e agli occhi degli altri dubbi. Al contrario, l’audacia, anche se fondata
sull’ignoranza, viene spesso interpretata come segno di forza, decisione, leadership.
La ricerca moderna conferma queste osservazioni: uno studio del 2017 ha rilevato che l’intelligenza
è legata alla leadership solo fino a un certo punto, in particolare fino a un quoziente intellettivo di
circa 120. Superata questa soglia, le persone molto intelligenti spesso fanno fatica a relazionarsi con
altri, il loro modo di esprimersi risulta troppo complesso e la loro prudenza può sembrare distante o
fredda in contesti in cui vengono apprezzate la chiarezza e la sicurezza. L’intelligenza pura rischia
di diventare un ostacolo sociale più che un vantaggio. Quali menti si impongono allora in questo
sistema? Quelle che parlano con sicurezza anche quando non sanno davvero di cosa parlano. Questo
porta a riflettere su un meccanismo psicologico più profondo che altera la nostra percezione di chi
sia veramente adatto a guidare.
Sicurezza contro competenza
Gli psicologi David Dunning e Justin Krueger hanno individuato un errore di giudizio molto diffuso
che lo stesso Machiavelli avrebbe subito riconosciuto: chi ha poche competenze tende a
sopravvalutarsi, mentre chi è davvero competente è più consapevole sui propri limiti. Questo
fenomeno non riguarda solo il singolo individuo, ma ha anche implicazioni politiche. Infatti la
sicurezza trasmette fiducia, mentre la cautela può essere percepita come debolezza. In particolare,
nei ruoli di leadership, soprattutto in contesti stressanti, l’apparenza di sicurezza conta spesso più
delle reali capacità.
Le ricerche dimostrano che le persone eccessivamente sicure di sé vengono frequentemente viste
come leader più efficaci anche quando i loro risultati non lo confermano. Dalle startup alle forze
armate questa illusione di autorevolezza si ripresenta con costanza e non è soltanto il carisma
personale a generare questo effetto, è l’intero sistema della comunicazione moderna a rafforzarlo. In
un mondo dominato dai media è la sicurezza a guadagnarsi visibilità e, quando questa sicurezza non
è sostenuta da una reale conoscenza, può diventare un potente ma anche pericoloso strumento di
influenza.
Le piattaforme digitali tendono a premiare chi si esprime con toni assoluti: uno slogan deciso si
diffonde molto più facilmente di una verità complessa. Tuttavia il vero rischio non è solo chi riesce
a ottenere il potere, ma ciò che fa una volta che lo ha ottenuto. Chi costruisce il proprio successo
sull’illusione infatti spesso non si limita a mantenere il potere, tende a trasformare i meccanismi
stessi del sistema per garantirsi un controllo duraturo.
Come l’incompetenza si protegge
Machiavelli non si limitò a studiare come si conquista il potere, si concentrò anche su come lo si
mantiene. Una delle sue intuizioni più inquietanti fu che i governanti incapaci tendono a circondarsi
non di persone capaci ma di individui deboli. “Il primo modo per conoscere l’intelligenza di un
principe è osservare gli uomini che ha intorno” scrisse. Non si tratta solo di favoritismi, ma di una
vera e propria strategia. I leader che si sentono minacciati dalla competenza, preferiscono scegliere
collaboratori che non li metteranno mai in discussione, persone fedeli dipendenti o mediocri. In
questo modo costruiscono una sorta di corazza difensiva fatta di incompetenza, un sistema chiuso in
cui nessuno rappresenta una minaccia e in cui il pensiero critico non è né premiato né benvenuto.
E questo non è un caso isolato. Nella storia è uno schema che si ripete attraversando epoche e
contesti diversi: dall’impero Romano fino alle istituzioni contemporanee il potere tende a
proteggersi attraverso una mediocrità intenzionale e calcolata. Lo vediamo nelle nomine politiche e
nei consigli d’amministrazione dove l’obbedienza conta più della competenza, nei regimi che
sostituiscono esperti qualificati con cortigiani ossequiosi. Non è disordine, è un sistema ben
definito. Ciò che succede quando questo schema incontra la crisi e la complessità, rappresenta forse
l’aspetto più pericoloso.
Il fascino della semplicità
Perché continuiamo a seguire chi offre risposte semplici, anche quando la realtà richiederebbe ben
altro? La chiave è il conforto cognitivo nei momenti di incertezza. La mente cerca rifugi rassicuranti
e la semplicità, anche se illusoria, diventa una via di fuga. I leader che trasmettono un senso di
chiarezza assoluta, anche se infondato, offrono sicurezza psicologica. Ma questo ha un costo: i
leader davvero intelligenti sono spesso frenati dall’etica, dal dubbio, dalla responsabilità.
Machiavelli lo aveva capito perfettamente: è necessario a un principe imparare a non essere buono;
chi rifiuta di manipolare, mentire o trovare un colpevole facile, finisce spesso per essere sconfitto da chi invece lo fa senza scrupoli. Questo genera un profondo squilibrio morale: più sei integro meno
strumenti sei disposto a usare e in ambienti cinici o spietati quell’integrità può trasformarsi in un
limite. Ricerche recenti dimostrano che individui con tratti psicopatici, come la mancanza di
empatia, la tendenza alla manipolazione e un certo fascino superficiale, riescono spesso ad avanzare
più rapidamente di colleghi etici, soprattutto quando il loro carisma maschera la disfunzione. Ma il
problema non riguarda solo i singoli, è sistemico: quando le tattiche scorrette portano risultati,
finiscono per diventare la norma. Ciò che un tempo era visto come eccessivo, diventa prevedibile e
ciò che prima era inaccettabile, si trasforma in strategia legittima.
Resistere al sistema
Machiavelli è stato a lungo frainteso. Non stava celebrando il cinismo del potere, lo stava rivelando
e nel farlo ha lasciato a tutti noi strumenti preziosi per comprendere i meccanismi del potere, ma
anche per difenderci da essi. La consapevolezza è il primo passo, ma da sola non basta: deve
trasformarsi in azione, serve costruire sistemi che valorizzino la competenza reale, il pensiero
a lungo termine e il feedback onesto. Dobbiamo imparare a premiare l’umiltà invece del
rumore, l’analisi corretta invece degli slogan.
A livello personale questo significa allenare il pensiero critico, filtrare con attenzione ciò che
assorbiamo e mantenere uno spirito riflessivo in un mondo che spinge verso la reazione impulsiva.
Bisogna creare spazi per la crescita, la chiarezza e la resilienza; bisogna mettere al centro la
profondità non le mode, il pensiero non la distrazione, perché l’ignoranza può avanzare in fretta, ma
si consuma altrettanto velocemente. Quello che davvero resiste nel tempo, è l’intuizione, l’integrità e
il coraggio di dire la verità, anche quando il mondo la confonde con uno spettacolo. Bisogna
rimanere curiosi, consapevoli e soprattutto mentalmente forti. [1]
A modo di conclusione: La selezione negativa in politica – La logica di Machiavelli
La selezione negativa in politica si riferisce al fenomeno per cui, all’interno di un’organizzazione o
di un sistema di potere, gli individui meno capaci o più docili raggiungono posizioni di leadership,
mentre i più competenti o indipendenti vengono emarginati o esclusi. Questo processo non è
casuale, ma una conseguenza logica di sistemi in cui la lealtà personale e l’obbedienza cieca
prevalgono sulla capacità o sull’integrità.
Niccolò Machiavelli, nella sua opera Il Principe, non usa il termine “selezione negativa”, ma il suo
pensiero offre chiavi di lettura per comprendere questo meccanismo. Per Machiavelli, mantenere il
potere è l’obiettivo primario del sovrano, e questo spesso implica circondarsi di persone che non
rappresentino una minaccia. Consiglia al principe di scegliere ministri saggi, ma avverte anche che
questi dovrebbero dipendere completamente dal suo favore. In questo senso, promuovere individui
mediocri ma leali può essere una strategia razionale per mantenere il potere, anche se questo erode
la qualità del governo nel lungo periodo.
Questa logica machiavellica si osserva in numerosi contesti autoritari, ma può infiltrarsi anche nelle
democrazie e negli organismi sopranazionali e internazionali. Quando i leader selezionano i
collaboratori non per la loro competenza ma per la loro sottomissione, si crea un’élite incapace di
sfidare il potere o di offrire soluzioni efficaci. Il risultato è un ciclo di impoverimento istituzionale,
in cui la mediocrità si perpetua.
In conclusione, la selezione negativa è una dinamica profondamente dannosa per la politica, che
Machiavelli ha concepito da una prospettiva pragmatica del potere. Comprenderla è fondamentale
per costruire sistemi in cui la competenza e la virtù politica possano prevalere sulla convenienza
personale.
[1] Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=VtTgtOjAr6A