Daniele Trabucco
L’obbedienza, nella sua essenza più profonda, non rappresenta un semplice atteggiamento disciplinare né un adattamento esteriore a un comando, ma la cifra stessa del rapporto ontologico che lega la creatura al Creatore e la modalità propria con cui la libertà si innalza oltre se stessa per compiersi nel bene. Essa non si riduce a un dovere imposto dall’esterno, ma scaturisce dall’ordine intrinseco dell’essere, in cui ogni parte trova la propria misura e finalità nell’armonia del tutto, e perciò si configura come principio universale di giustizia e di verità.
Nella tradizione cristiana, l’obbedienza si radica nell’atto originario di fede, che non è un semplice assenso intellettuale, ma un atto di adesione totale della persona a Dio che si rivela. San Pio X, pontefice dal 1903 al 1914, in un tempo segnato dalla rivendicazione prometeica dell’autonomia della coscienza e dall’erosione delle categorie stesse della verità, riafferma con vigore l’ordine soprannaturale che presiede alla vita ecclesiale e colloca l’obbedienza al centro della sua azione pastorale e dottrinale, mostrando come in essa non sia in gioco un elemento accessorio della religione, ma la struttura portante dell’edificio teologico e antropologico della Chiesa.
Nella notissima Lettera Enciclica “Pascendi Dominici gregis” del 1907 egli individua il cuore del modernismo non in una singola dottrina erronea, quanto in un atteggiamento spirituale e intellettuale di rifiuto: la ragione che si sottrae all’obbedienza del mistero, la coscienza che pretende di erigersi a criterio ultimo della verità, il soggetto che si vuole fonte autonoma di significato. Il modernismo, così compreso, non è solo una deviazione teologica, bensì una sovversione metafisica, una ribellione dell’intelligenza contro l’essere, una insubordinazione della creatura contro l’ordine voluto da Dio. Per questo l’obbedienza diventa, nel pensiero e nel magistero di Pio X, non solo virtù morale ma principio epistemico: essa sola dispone l’intelligenza a ricevere la verità nella sua purezza, senza piegarla alle categorie del soggettivismo e dell’immanentismo.

Obbedire significa aprirsi alla verità come dono, riconoscere che la ragione non è misura della rivelazione, dal momento che deve lasciarsi misurare da essa. La dimensione cristologica conferisce a questa visione il suo fondamento supremo: il Verbo incarnato, che è la Verità stessa fatta carne, si è manifestato nella forma dell’obbedienza radicale al Padre, sino all’immolazione della Croce. Nell’obbedienza del Figlio si rivela la struttura interna del mistero divino e della Redenzione: la verità si dona nella forma dell’obbedienza, e l’obbedienza diventa la via attraverso cui la verità salva e trasfigura. Così l’obbedienza non è un semplice mezzo pedagogico, quanto la forma stessa della rivelazione e della salvezza, la legge interiore del Corpo Mistico che è la Chiesa. Obbedire al Magistero significa, pertanto, non sottomettersi a una volontà estranea, ma entrare in comunione con l’atto stesso dell’obbedienza filiale del Cristo al Padre, partecipando a quella carità obbedienziale che costituisce il cuore della vita trinitaria riflessa nella storia. In tale orizzonte, la libertà non viene soppressa dall’obbedienza, ma compiuta. La concezione moderna di libertà come pura autodeterminazione, che pretende di definire se stessa in un atto di emancipazione da ogni vincolo, appare agli occhi del santo pontefice non come esaltazione ma come corruzione della libertà, poiché recide il legame ontologico con la verità e lascia l’uomo preda dell’arbitrio e della dispersione. L’obbedienza, al contrario, è l’atto mediante il quale la libertà riconosce la propria origine e il proprio fine, si solleva al di sopra della molteplicità caotica delle possibilità e si orienta al bene che la fonda. Essa è, dunque, non negazione ma perfezione della libertà, perché solo nel lasciarsi misurare dalla verità la libertà si realizza come autentico dominio di sé e come apertura all’Assoluto. Il magistero di Papa Sarto mostra come la vita ecclesiale, nelle sue espressioni più concrete, dalla liturgia al catechismo, dalla comunione quotidiana alla disciplina del clero, sia in realtà una grande pedagogia dell’obbedienza, un itinerario nel quale l’uomo viene educato a conformare la propria volontà alla volontà divina, a lasciare che la grazia plasmi la sua esistenza, a riconoscere nella voce della Chiesa la voce stessa di Cristo.
La condanna del modernismo, lungi dall’essere un atto repressivo, è, dunque, un atto profondamente liberante, perché richiama l’intelligenza e il cuore dell’uomo al loro ordine originario, sottraendoli alla schiavitù del relativismo e del soggettivismo, e restituendo loro la possibilità di vivere nella verità.
In definitiva, l’obbedienza, quale appare nel magistero di san Pio X, non è una mera categoria disciplinare, ma principio teoretico e teologico di portata universale: è il legame che unisce la libertà alla verità, la creatura al Creatore, il fedele al Magistero, l’intelligenza al mistero, la Chiesa al suo Signore. In un’epoca come la nostra, segnata dalla dissoluzione dei riferimenti ultimi e dalla crisi di ogni autorità, tale dottrina si rivela di straordinaria attualità, poiché indica che solo nell’obbedienza l’uomo ritrova se stesso, che solo lasciandosi misurare dalla verità egli si sottrae al nulla e si apre alla pienezza, che solo l’atto obbedienziale consente alla libertà di non perdersi, ma di compiersi in Dio, principio e fine di tutte le cose.