Fabio Cavallari racconta — con una scrittura che respira e accompagna il lettore nella quotidianità— la nascita di una famiglia adottiva come “gesto” che accade nelle pieghe della vita di tutti i giorni, più che come atto formale. È l’idea guida dell’Introduzione: una famiglia si tesse di piccoli gesti, attese e resistenze, non di formule perfette.
La storia è affidata a due voci: Marta (voce narrante) e Mattia (in corsivo). La scelta, semplice e chiarissima, regala al lettore l’intimità di un dialogo che cresce mentre la famiglia si costruisce.
Il loro primo incontro non avviene in un salotto, ma tra carrelli e scatoloni della Colletta Alimentare: un dettaglio concreto che dice già molto della loro idea di legame — riconoscersi nel prendersi cura degli altri, prima ancora di dirsi “noi”.
Cavallari chiama questo movimento “restare”: l’atto ostinato di esserci, senza pretendere l’ideale. È la postura che permette a Marta e Mattia di attraversare i tempi lunghi e incerti dell’adozione, con le gioie improvvise e le fatiche che non si cancellano — dall’attesa dei documenti ai viaggi, fino alle paure che stringono la gola la notte prima della partenza.
Uno dei nuclei più originali del libro è lo sguardo sulla scuola e sulla neurodivergenza. Marta lavora con bambini e ragazzi con ADHD e disturbi dell’apprendimento; rifiuta le etichette rigide, prova a “cucire” percorsi su misura, rivendica uno spazio in cui i bambini non si sentano sbagliati. È una critica dolente e costruttiva al sistema scolastico: l’ADHD come “variazione estrema della creatività”, non un difetto da normalizzare, e una scuola che troppo spesso lascia soli chi non entra nello stampo.
Qui il racconto familiare si intreccia con un’etica dell’ascolto che Cavallari fa risuonare con le parole di Eugenio Borgna: l’ascolto autentico come invito a spogliarsi di sé per accogliere l’altro. Nell’adozione diventa “ancora” quotidiana che tiene insieme perdita, appartenenza e identità.

Il libro non edulcora: mostra la rabbia come dolore travestito, la ricorrenza dell’adozione che per i genitori è festa e per un figlio può restare ferita, il varco invisibile tra chi ha voluto e chi è stato scelto. Proprio qui la “fraternitudine” — la capacità di farsi prossimo senza possedere — prende corpo: non si tratta di correggere il passato, ma di farci posto dentro la nostra storia.
La costruzione di un amore è, in fondo, un libro su una promessa realistica: non esistono figli “adottivi” o “naturali”, esistono relazioni che si imparano, ogni giorno, con una presenza che non scappa. Un romanzo vero, impastato di gratitudine e di fatica, che restituisce dignità al verbo più semplice e difficile dell’amore: restare.
Liliane Tami