Washington dà un segnale forte a Pechino che le dispute in atto non sono “lotte commerciali”, ma invece un vero confronto politico.

Pochi giorni fa Meng Wanzhou – detta Sabrina – direttore Finanziario del gigante tecnologico cinese “Huawei” (la Cina agisce) è stata arrestata a Vancouver, appena sbarcata da un volo in transito.

Il mandato di cattura del Ministero della Giustizia americano con richiesta al Canada di estradizione si basa sull’accusa alla Huawei di avere fornito all’Iran, in spregio alle sanzioni americane, equipaggiamenti elettronici contenenti componentistica USA.

La signora Meng, 46 anni, non è solo un alto esponente del gruppo cinese, ma anche la figlia del fondatore della Huawei – Ren Zhengfei – che iniziò con pochi spiccioli la creazione del grupponel 1987. Oggi il colosso fattura 47 miliardi di dollari, dà lavoro a 180.000 dipendenti e quest’anno venderà quasi 200 milioni di smartphone, secondo solo ad Apple.

Come si vede nelle nostre pubblicità, l’origine cinese dei prodotti è asettica rispetto al paese di origine, ma per le autorità americane Huawei sarebbe- secondo le accuse- la “quinta colonna” dell’impero cinese che muove le sue pedine mischiando hacker, spionaggio e penetrazione commerciale. Sebbene l’azienda risulti indipendente, i sospetti che in realtà sia l’agente del Governo cinesesono forti; tenendo conto che il fondatore ha servito nell’esercito ed è un membro del PCC (il partito comunista cinese).

Per questo, l’intelligence USA, negli ultimi anni, ha sollecitato anche i servizi segreti alleati, Five Eyes, Australia, Nuova Zelanda, Canada e Regno Unito ad aprire gli occhi. Tant’è che in Inghilterra per gli equipaggiamenti 4G e d’ora in poi per la prossima piattaforma 5G, Huawei è tenuta alla larga. Circolano informazioni su ammissioni da dirigenti che non vogliono essere riconosciuti, sul fatto che “Huawei ha venduto equipaggiamenti che contenevano componenti americane di una certa proporzione di provenienza USA”. Un atteggiamento che contrasta con quello italiano dove c’è componentistica Huawei, ad esempio, nelle migliaia di uffici postali della penisola. Più ignoranti o più furbi? Vedremo.

Lo vedremo nei prossimi giorni che cosa succederà con la signora Meng ed anche quali saranno i capi d’accusa. Per ora possiamo dire che da parte di Washington è una decisione senza precedenti in altri casi, di violazione di embargo. Benché l’ordine di arresto provenga dal Ministero della Giustizia è impensabile che il Governo americano non sia stato informato. Il grave fatto si verifica oltretutto in un momento delicato delle trattative fra i Presidenti dei due paesi, con una moratoria di 90 giorni prima che gli USA rendano le sanzioni, i dazi, sulle esportazioni cinesi operative.

Sembra corretta l’analisi del Financial Times in cui sostiene che “l’arresto sottolinea un’allarmante escalation nei confronti del commercio e del trasferimento di tecnologia, anche se apparentemente non sarebbe correlato al grosso problema: trattandosi solo, da quello che è noto, di una violazione di embargo verso l’Iran.

Risultano violente le reazioni dei media cinesi di fronte ad un simile affronto. Se ne vedranno quindi delle belle nei prossimi giorni. Se gli americani sono diretti, i cinesi sanno esserlo altrettanto. Comunque sia, l’episodio dev’essere visto come una piccola puntura di spillo fra i due contendenti per la supremazia geopolitica dell’Estremo Oriente. Il confronto fra una grande potenza in declino, gli USA, ed il gigante cinese, è sempre più assertivo sotto la leadership di Xi Jinping. Dalla politica della “collana di perle” e di basso profilo, Pechino è oggi sempre più proteso verso lo “sviluppo economico e di prosperità condivisa” della Via della Seta. Un salto di paradigma importante.

Come scrive il politologo Ian Bremmer riferendosi ai vicini di casa della Cina: ”hanno buoni motivi per augurarsi che Trump riesca a costringere la Cina ad aprire i nuovi mercati ai prodotti esteri, a ridurre le sovvenzioni alle aziende (di Stato) e a smettere finalmente di imporre il trasferimento o il furto della proprietà intellettuale delle imprese straniere”.

Ma la “trappola di Tucidide”, attaccare la potenza emergente, sembra fuori luogo. Nonostante la loro potenza, gli USA sono in declino: e, soprattutto, incerti sulla loro strategia asiatica.

Vittorio Volpi