Michele Rossi accusa… “noi”
***la Red si scusa per il titolo, ora cambiato, che non rispecchiava il contenuto
Commentando sul CdT dello scorso 26 luglio la lettera firmata Catherine Ashton con cui l’UE dichiara che la libera circolazione delle persone non è trattabile, l’avv. Michele Rossi, a suo tempo funzionario bernese che ha partecipato alle trattative con Bruxelles per gli accordi bilaterali, rimprovera ai sostenitori dell’iniziativa UDC, votata dal popolo il 9 febbraio 2014, di aver affermato in modo “intensamente superficiale quanto irresponsabile” che i Bilaterali si sarebbero comunque sempre potuti rinegoziare. Una falsità, secondo l’esimio avvocato (pienamente smentito dalla ripresa delle trattative mascherata come possibile adattamento delle misure di messa in atto, per salvare la faccia ai signori di Bruxelles), e adesso i nodi giungono al pettine con il chiaro inequivocabile no dell’UE. Obnubilato dalla sua ira funesta per l’esito della votazione popolare, Michele Rossi dimentica che ad agire in modo “intensamente superficiale quanto irresponsabile” furono invece il CF e i suoi negoziatori, lui compreso, incapaci di prevedere che la libera circolazione così come concordata avrebbe avuto le conseguenze pratiche che ha avuto: modesti benefici per l’industria e gravi svantaggi per la collettività. L’avv. Rossi non riesce a capire, e probabilmente non capirà mai, che il popolo certe cose le sente sulla pelle, pelle che molte volte si è dimostrata ben più intelligente di certi cervelli. In particolare, a partire dal 6 dicembre 1992.
Se i bilaterali non si possono rinegoziare, il mondo non cadrà, e la Svizzera neanche. Bisognerà però che a decidere cosa fare non siano, in governo, i fautori della fermezza nel cedimento ad ogni costo. La libera circolazione delle persone in Europa è un’ammirevole conquista di libertà, e lo sarebbe ancora di più se fosse estesa a tutto il mondo. Ma quando la circolazione non circola più e diventa un attruppamento sedentario, per un paese piccolo e attrattivo (per ovvi motivi di ordine economico e sociale) come la Svizzera sorgono problemi che non si porrebbero se la stessa mobilità puntasse alla Siberia. Quel che è accaduto e sta accadendo era facilmente prevedibile e fu previsto da molti di noi. Purtroppo non dal CF e non dai suoi negoziatori, caro avv. Rossi. Vederci calar lezioni dall’alto da chi ha fallito ci irrita.
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Luciano Canfora, comunista inossidabile
I sistemi di governo democratico furono ideati e studiati nell’antica Grecia, a partire dal V secolo a.C.. Quelle che erano innovazioni assolutamente utopiche divennero materia di studio sistematico e organico ad opera di Platone, che le fissò sulla carta (sul papiro a quei tempi) nel dialogo dedicato alla “Repubblica”. Studi proseguiti poi dalla sua scuola, alla ricerca di quello che avrebbe potuto essere uno Stato ideale. Gli oppositori e i detrattori non mancarono, persuasi della pratica inutilità di simili lavori. Tra di loro si distinse il commediografo Aristofane.
Luciano Canfora, filosofo, comunista inossidabile, filologo e papirologo di vasta fama, ospite abituale di giornate tematiche di studio (“Ragioni critiche”) nella Biblioteca cantonale di Locarno allora diretta dallo scomparso Prof. Antonio Spadafora (1942-2013), calabrese giunto in Svizzera nel 1969 e mio caro paziente, Luciano Canfora, dicevo, ha dato alle stampe un suo succoso saggio sul tema: “La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone”, per i tipi della casa editrice Laterza.
Canfora, lui stesso propugnatore di un utopico e quindi irreale comunismo, ammette che nessuna società utopica è mai stata concretizzata. I tentativi non sono mancati, specialmente ad opera dei vari comunismi, aggiungo io, ma sono tutti sfociati in bagni di sangue fondati sul terrore. Le domande impellenti rimangono però queste: si deve smettere di sognare e di cercare il mondo perfetto? L’utopia è sempre votata al fallimento? E l’ostracismo all’utopia non è un alibi per consacrare per sempre la conservazione e l’ingiustizia onnipresente? Domande puntuali, meritevoli di una riflessione, che il filosofo barese lascia però senza risposta.
L’utopia è comune nei ranghi dei cosiddetti “Weltverbesserer”. Verso di loro nutro una diffidenza che passando dall’antipatia sconfina nell’idiosincrasìa.
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Un anno senza multe per l’UBS: il mio sogno! (ma saprò vivere abbastanza a lungo?)
Un complicato balletto di “sbavature” e multe, un gioco… che è redditizio giocare
L’UBS è attualmente sotto accusa in Francia per aver aiutato clienti francesi ad evadere il fisco. La ricordo coinvolta in vicende poco chiare in Giappone, forse 20 o 25 anni fa. Da allora, con cadenza quasi regolare, un inghippo dopo l’altro. Ad inizio agosto 2013 un bollettino di cui non ricordo l’autore annunciava trionfante la chiusura della vertenza Lehman, intentata da clienti ingannati con la vendita di prodotti finanziari complessi, con il versamento di 120 mio di dollari. Alla stessa data l’autorità americana di sorveglianza dei mercati finanziari (SEC, Securities and Exchange Commission) ha appioppato alla grande banca una multa di 50 mio di dollari per violazione di norme su carte valori, i cosiddetti debiti cartolarizzati CDO (Collateralized Debt Obligations), quei valori che sono costati il rischio di fallimento al Monte dei Fiaschi di Siena, per intenderci.
Pochi giorni prima, fine luglio, l’UBS aveva concordato con l’agenzia americana per il finanziamento dell’alloggio (FHFA, Federal Housing Finance Agency) un indennizzo di 885 mio, sempre dollari, evidentemente, per chiudere una vertenza legata a transazioni ipotecarie a rischio (subprime) compiute tra il 2004 eil 2007. 415 mio a Fannie Mae e 470 a Freddie Mac, due agenzie americane di prestiti ipotecari, fallite con la loro politica facilona di concessione illimitata di prestiti anche ai nullatenenti (Bill Clinton aveva voluto dar una casa a tutti gli americani, la volontà che è stata alla base della crisi del 2007, da cui non ci libereremo tanto presto) e poi statalizzate a fior di miliardi. Per questa e altre cause UBS aveva accantonato a metà 2013 oltre due miliardi di franchi, a danno dei suoi piccoli azionisti, certamente non dei suoi managers e dei grandi azionisti.
Appena 8 mesi prima UBS aveva pagato una multa delle autorità americane di 1,53 mrd di dollari per manipolazione del Libor, un tasso d’interesse interbancario. Riuscirò, nel poco tempo che matematicamente mi resta, a vedere un anno senza multe per la prima banca svizzera?
Gianfranco Soldati