Soldati 11Le ragazze si sono prese per i capelli   Stando al CdT, Antonella Bignasca, esprimendosi qualche settimana fa sulla “singolar tenzone” che ha coinvolto due donzelle leghiste per l’ammissione sulla lista dei candidati al governo, si è pronunciata per un “niet bilaterale”, se così possiamo esprimerci. Non certo per farsi spazio, visto che intende restare dietro le quinte. Ma ancora più indietro, dove regna la notte fonda, sta l’augusto consorte, che nutre fin dalla pubertà l’ambizione di passare alla storia come un Richelieu redivivo.

Arguzia dello zio   Il Nano, in un momento di chiacchiere distensive mi disse testualmente: “Speriamo che quei due non abbiano mai un figlio: verrebbe al mondo una piccola cassaforte”. L’arguzia non si poteva negargliela.

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Islam a Viganello   Stupefacente e commovente la decisione del PS luganese, guidato da uno “stralunato” (sta per indomito difensore della mezza luna) Raoul Ghisletta, di assumere il ruolo di difensore della religione in genere, di quella islamica in particolare. In nome di una fratellanza senza se e senza ma si invia un messaggio che attraversa anche i pericardi più induriti per penetrare poi nei ventricoli o nelle orecchiette, in altre parole per colpire al cuore e far sciogliere in un pianto di disperato pentimento perfino un antiislamista incallito come Lorenzo Quadri, che ha il torto di aver capito che la religione islamica, maestra di amore e tolleranza, ha il difetto di produrre troppi estremisti. Per i suoi (di Quadri) e anche per i miei gusti.

Che quella dei socialisti sia stata una mossa prevalentemente dettata da interessi elettorali (esattamente come la visita agli imam) lo capiscono anche gli stupidi. Non so quanti siano in Ticino i mussulmani e i convertiti all’islamismo che hanno diritto di voto, ma so che non sono tutti stupidi. Quadri non perde un voto personale e neppure una scheda, il beneficio elettorale dei socialisti sarà inferiore alle loro attese.

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L’oro non si può stampare, le banconote sì   Kurt Schiltknecht è un economista che ha una rubrica quindicinale sulla “Weltwoche” ed è stato a suo tempo capo-economista della BNS, banca nazionale svizzera.

Crede che l’inondazione di moneta cartacea del mondo occidentale (quantitative easing) abbia avuto sviluppi positivi sulla crescita dell’economia americana, e ha spiegato le ragioni per cui ciò non accadrà nell’UE, con relativi pericoli per il franco svizzero, allora ancora “gemellato” all’euro. Il primo motivo è che le banche europee mancano di adeguati capitali propri. Le decisioni politiche, come quella della BCE di continuare a stampare senza freni per fornire fondi all’investimento, per realizzarsi devono passare dalle banche. Meno capitale proprio hanno, meno sono disposte a correre rischio. Per non rischiare, pur disponendo di grande liquidità, sono più che parsimoniose nella concessione dei crediti. E`quel che vediamo chiarissimamente in Italia. Senza sistema bancario solido e stabile la politica monetaria resta un’arma smussata. I politici europei credono, sbagliando, che un controllo burocratico spinto oltre misura e i cosiddetti test di stress possano bastare e sostituire i veri aumenti di capitale. Al contrario, una rapida accentuazione delle prescrizioni di capitale proprio indurrebbe un rapido aumento del trasferimento agli investitori dei capitali messi quasi gratuitamente a disposizione dalla banca centrale. Ma il mancato funzionamento del quantitative easing europeo ha anche altre cause. Una di queste è la differenza di sviluppo economico tra Nord e Sud dopo l’introduzione dell’euro. Il differenziale di inflazione ha tolto capacità competitiva ai paesi del Sud per rapporto a quelli del Nord. Appartenendo alla zona euro i paesi deboli non possono stampare moneta per ricorrere alla svalutazione. L’unica possibilità che hanno è quella di ridurre i salari, possibilità solo teorica, perché una sua messa in vigore sfocerebbe in ribellioni sociali.

Questi stati del Sud non sono in grado di approfittare del recente forte indebolimento dell’euro per rapporto al dollaro. Il grande beneficiario è e sarà la Germania, con un’ulteriore allargamento della forbice di produttività. Inoltre, altro fattore negativo, gli investitori dei paesi deboli non avendo finanziamenti adeguati non sono più in grado di approfittare dei progressi tecnologici, cosa che aggrava la già presente scarsa competitività.

La sola soluzione, per questi paesi deboli, rimane quella di un rapido aumento della capitalizzazione bancaria e di una liberalizzazione del mercato del lavoro. Meglio ancora sarebbe la suddivisione della zona euro tra paesi con euro debole, liberi di svalutare, e paesi con euro forte. Ma con i politici che ci si ritrova, protesi all’unità politica dell’Europa per farne una vera potenza mondiale, c’è poco da sperare.

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“Montanari fieri ed eroici” (eravamo noi!)   Armando Dadò mi ha fatto omaggio del libro “La guerra civile nella Svizzera italiana” da lui stampato l’anno scorso. Si tratta della traduzione e presentazione a cura di Marco Schnyder di un’opera di Heinrich Zschokke, storico di origini prussiane, che fu commissario nella Svizzera italiana per il Direttorio elvetico dal 4 giugno al 4 settembre 1800. Grazie a documenti e conoscenze raccolti in questo breve periodo lo storico fu in grado di inserire nella sua vastissima opera storica un capitolo dedicato alla Svizzera italiana durante il regime dell’Elvetica (1798-1803). Nel libro vengono largamente evidenziate le terribili condizioni (devastazione e carestìa) cui vennero ridotte le vallate a sud e a nord del Gottardo dagli andirivieni degli eserciti stranieri. I peggiori, per assenza del minimo scrupolo umanitario, furono i francesi, peggio dei mongoli e cosacchi di Suworow. Con un’eccezione, tra i tanti generali di Napoleone, di un generale a nome Gabriel Molitor. Era un conte, e soprattutto un gentiluomo. Che, stando al libro, così rispose ad una richiesta del commissario elvetico: “Se il Suo governo mira alla stabilità data dalla pace intestina concederò le libertà e i privilegi antichi a questo popolo (n.d.a.: si riferiva agli urani e ai leventinesi) di montanari fieri ed eroici, e li tratterò più da alleati che da sudditi del vostro stato. Davvero, questi piccoli stati liberi alpini meritano ogni lode. Che siano un modello di vero spirito repubblicano per gli altri popoli del continente, ancora incapaci di essere liberi”. Mica male, da parte di un discendente dell’aristocrazìa monarchica.Un auspicio che ancora oggi, anno di grazia 2015, conserva la sua piena validità. Per tutta l’Europa, nessuno escluso.

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Napolitano“Il mezzo presidente” (Soldati dixit)   Le dimissioni di Napolitano, pur preannunciate da tempo, sono oggetto di commenti innumerevoli sui media nazionali e ticinesi. Lo consideravo da tempo un mezzo presidente, perché a quel rango si era autoridotto con il suo operare. Avrebbe potuto diventare un vero uomo di stato, per la ferma volontà dimostrata di aiutare l’Italia ad uscire dal pantano. Ma il modus operandi che ha scelto lo squalifica. Accantonata la considerazione che l’Italia è una democrazia borbonica, con un presidente che può nominare fino a 5 senatori a vita e una Consulta che demolisce ogni tentativo di eliminare o almeno contenere gli assurdi e costosissimi privilegi accordati a politici e alti burocrati per non lasciar ritoccare i propri, Napolitano ha fallito ogni volta che ha avuto l’occasione di salire al livello di un vero capo di stato democratico. Per esempio nominando 5 senatori a vita, tutti di estrema sinistra, pur sapendo che il popolo pseudosovrano italiano non è tutto di sinistra, e neanche al 50%. Oppure rifiutando la grazia a un Berlusconi che più incauto non si può, con le sue indecenti manifestazioni di senile virilità, ma che irrefutabilmente è stato vittima di una persecuzione giudiziaria di cui la magistratura italiana può e deve solo vergognarsi. O ancora, imponendo in pratica la nomina di 3 presidenti del governo non legittimati dal voto popolare. Un comportamento che si adduce ad una struttura mentale di veterocomunista, ma non alla funzione di un presidente democratico di un paese democratico.

Sul maggior quotidiano ticinese del 15 gennaio si sono espressi due direttori di importanti quotidiani italiani, uno di estrema sinistra e l’altro di sinistro centro-sinistra, tutti e due di acceso antiberlusconismo (sinonimo di acceso filobersianismo, talmente Bersani è diventato, sotto forma di cariatide vivente, l’emblema dell’antiberlusconismo più becero e insensato): Marco Travaglio di “Fatto Quotidiano” e Ezio Mauro di “Repubblica”. Il primo ha demolito il presidente dimissionario con argomenti a mio modesto parere irrefutabili, giudicandolo per finire peggio di Oscar Luigi Scalfaro, per me la persona più detestabile della politica italiana dal 1945 in poi. Il secondo ha incensato il re Giorgio oltre misura, ma in parte con considerazioni da ritenersi oggettive. Probabilmente, come sempre, anche nei giudizi sull’operato di Giorgio Napolitano in qualità di presidente della repubblica borbonica la verità sta nel mezzo.

Gianfranco Soldati