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Venerdì prossimo alle ore 11 OLGA SVIBLOVA, Direttrice del Museo delle arti multimediali di Mosca, incontrerà i giornalisti al LAC per presentare la grande mostra Rodchenko, che avrà il suo vernissage la sera di quello stesso giorno. Ticinolive sarà ovviamente presente.

Nataliya Shtey Gilardoni, presidente della Fondazione IAC, International Art & Culture Foundation, l’ha intervistata a Mosca per noi. 

Nat 333xÈ la sua prima volta in Svizzera?
Olga Sviblova   Multimedia Art Museum aveva già organizzato mostre a Winterhur e Losanna. La prima impressione della Svizzera me l’ha data Art Basel, dal 1988 non mi perdo una mostra. Conosco bene Basilea, Berna e Ginevra. Ora scoprirò Lugano, ma con le esperienze passate (nel nostro museo abbiamo anche presentato artisti svizzeri) posso dire di collaborare con i partner più precisi e professionali.

Qual è l’idea di fondo di questa mostra di 316 opere, testimonianza del talento eclettico di Rodchenko?
OS   È la più completa retrospettiva dell’arte fotografica di Rodchenko. Mostra la trasformazione della sua arte, legata ai cambiamenti del suo tempo. Per esempio racconta quando nell’ambito del realismo socialista, con il regime unico committente delle opere, Rodchenko sceglie l’ultimo spazio con una certa libertà espressiva, il circo. È la sua resistenza silenziosa. Una sorpresa della mostra saranno le fotografie colorate, sconosciute fino a poco fa. Poi il fotomontaggio, con cui l’artista creava realtà desiderate, potenziando un genere che nel Paese era drive di suggestione.

Quali rapporti avevano Rodchenko e gli altri “generatori di idee” con il potere?
OS   Il pittorialista Grinberg fu deportato nei lager staliniani a causa di foto nude. Rodchenko, responsabile per la sua famiglia, viveva una crisi tormentosa che si riflette nei diari e nelle opere.

Oggi qual è il rapporto tra potere e arte russa? E cosa accade quando la cultura vive una restrizione della libertà?
OS   L’arte contemporanea non è tra le priorità politiche, tuttavia in Russia si svolge la Biennale, Manifesta, e molte mostre in diversi spazi. Nessuna restrizione può interrompere la creatività, come dimostrano Ilya e Emilia Kabakov. Anche senza libertà, la cultura si mobilizza.

Lei ha curato il Padiglione russo alla Biennale di Venezia. Con quali criteri ha rappresentato l’arte russa?
OS   Nel 2007 il tema era l’identità nel mondo contemporaneo, pieno del rumore dell’informazione di massa. Il padiglione del 2009 si chiamava “La Vittoria sul Futuro”, riferimento all’opera futurista dove per la prima volta appare il Quadrato nero di Malevič. Entrambe le volte, ho rappresentato un padiglione collettivo, anche se è molto più difficile. Perché l’intento era far conoscere il più possibile l’arte russa. Sono convinta che è l’impatto dell’opera, non la sua quantità, a dare all’artista visibilità. Valutiamo l’arte contemporanea su tre criteri oggettivi: le menzioni della stampa mondiale, gli inviti alle mostre e i prezzi delle opere nel mercato mondiale, e mi risulta che gli artisti presentati alla Biennale hanno avuto successo e si sono resi competitivi.

Com’è nata la Casa della fotografia?
OS   Nel 1996 organizzai la prima Fotobiennale, basandomi sull’esperienza francese che conoscevo bene. All’epoca non c’era il sostegno delle istituzioni ma fu un successo. Andando in vacanza in Camargue, scrissi una lettera al sindaco di Mosca dicendo che sarebbe stato bello fondare la prima Casa della Fotografia. Tornata a Mosca, ero direttore del museo.

Quali sono gli obiettivi del Museo che lei dirige?
OS   Ricostruire spazi vuoti nella storia della fotografia russa e nella storia della Russia. A giugno apriamo un portale che unirà tutti gli archivi fotografici: statali, municipali e privati. Altro compito è formare i giovani, con la scuola di fotografia e multimedia intitolata a Rodchenko. Ricostruire la storia dell’arte russa vuol dire andare alle nostre radici, unico modo per guardare al futuro.

A cura di Nataliya Shtey Gilardoni e Alessandra Erriquez