Dal punto di vista ideale non vedo come si possa essere contrari alla libertà di circolare, di viaggiare per curiosità, per affari, per la ricerca di lavoro. Ma le reciproche esigenze di libertà talvolta si scontrano e vanno conciliate.

Legittimi interessi divergenti possono rendere difficile il libero circolare. Il mondo di oggi è affollato, la concentrazione nelle città crea problemi di convivenza, di utilizzo di spazi e mezzi pubblici, di costi sociali, senza dimenticare le possibili conseguenti tensioni nella società.

Alcune realtà nazionali possono essere più appetibili per condizioni di vita e livelli remunerativi (come la Svizzera) e su di loro si concentra l’afflusso dall’estero. A fianco di possibili vantaggi ciò comporta un aumento della popolazione nello Stato ospitante imponendo la costruzione di nuovi alloggi, con rincaro delle superfici edificabili, produce un maggior affollamento dei mezzi pubblici, un aumento degli ingorghi del traffico stradale, delle immissioni. I lavoratori che affluiscono in Svizzera aumentano il nostro Prodotto interno lordo. Con il loro lavoro contribuiscono ad arricchirci, ma di fronte a questo arricchimento vi sono i costi per il corrispondente aumento della spesa pubblica.

Non possiamo inoltre ignorare che lo sviluppo della socialità ha creato una ricchezza pubblica non uniforme negli Stati europei, ha determinato nuovi confini tra le diverse nazioni. L’arrivo massiccio di lavoratori stranieri, in prima battuta comporta una diluizione dei diritti dei presenti sul capitale accumulato per garantire socialità e previdenza. Nel tempo i nuovi arrivati (ma non tutti) contribuiranno a reintegrare con i loro versamenti il capitale.

Ma ciò deve venir regolato in modo efficiente ed equilibrato e non con un semplicismo che invece di risolvere crea problemi.

Purtroppo in Svizzera ci siamo cacciati in un vicolo cieco. Nel 2014 è stata votata una modifica costituzionale contro l’immigrazione di massa. Per anni si è rimasti sostanzialmente inerti (nelle corde della signora Sommaruga non vi è la progettualità creativa) ed infine la patata bollente è stata scaricata al Parlamento che in parte per timore reverenziale verso l’UE, in parte per ripicca all’odiato Blocher, ha votato – fatto gravissimo – una legge in urto con la Costituzione. Irritati per lo sfregio alla maggioranza popolare, Blocher ed il suo partito hanno lanciato una nuova iniziativa in votazione il 27 settembre.

Sei anni di fatica, dibattiti, scontri, per non aver avuto il coraggio e l’abilità (o la voglia) di ricercare soluzioni più originali e alle quali oggi anche altri Stati europei, che mal sopportano la libera circolazione (che è all’origine dell’uscita dell’Inghilterra dall’UE), sarebbero lieti di ricorrere. Pertanto ci troviamo a votare, secondo gli oppositori, non basandoci sulla validità della soluzione proposta, ma in considerazione dell’influsso che il voto potrà avere sul futuro dei bilaterali.

La libera circolazione come imposta dall’UE è frutto di un errore concettuale (voluto?) e di una strategia politica. L’errore consiste nel trattare il tema della mobilità dei lavoratori come se si avesse a che fare con uno Stato unitario. Si dimenticano le notevoli disparità create dalle diverse legislazioni del lavoro, dai diversi sistemi contributivi e pensionistici, dai diversi curricula relativi alla preparazione professionale e infine dai diversi costi della vita. Ma è anche evidente il tentativo di scaricare surrettiziamente problemi sociali di alcuni Stati sulle spalle dei contribuenti di altri.

Un errore simile è stato commesso con l’euro, disattendendo le raccomandazioni degli economisti che mettevano in guardia contro le negative conseguenze di una moneta unica imposta a Stati economicamente non omogenei. Riguardo alla strategia politica quella di Bruxelles è ben nota: forzare i tempi anche a costo di correre grossi rischi per velocizzare il trasferimento di competenze (sovranità) dai singoli membri all’UE.

Quando, come a proposito dei mercati del lavoro e delle realtà previdenziali, vi sono squilibri si debbono trovare forme di compensazione. Una soluzione, ad esempio, quella che il noto economista professor Eichenberger ha più volte postulato: ricorrere ad una tassa per l’accesso al lavoro nel Paese. In sintesi le industrie, il tessuto economico che ha bisogno di mano d’opera straniera, dovrebbero pagare per ogni lavoratore assunto all’estero una tassa che permetta anche di combattere il dumping salariale. Questa forma di tassa di accesso dovrebbe contribuire a finanziare i costi aggiuntivi creati dagli arrivi (in alcuni anni 120.000 persone) in Svizzera. Inutili fantasie e speculazioni di economisti, teorie originali ma inattuabili?

Non è il caso, abbiamo un precedente simile, anche se per una materia completamente diversa, nei nostri passati rapporti e accordi con l’Europa. Il passaggio del traffico pesante attraverso la Svizzera (San Gottardo) era fonte di contestazioni e preoccupazioni per gli inconvenienti originati. Si è convenuto di compensarli con la tassa sul traffico pesante (TTPCP) applicata anche agli autocarri stranieri (UE) che attraversano il Paese. Purtroppo il realismo delle soluzioni razionali non ha successo quando intralcia i disegni pianificatori dei politici.

Tito Tettamanti

Pubblicato sul CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata