In Israele si vota: nelle quarte elezioni anticipate in meno di due anni, la maggioranza è, ancora una volta, nettamente spostata a destra. Dopo un anno di Covid in cui Israele, come tutto il mondo, è stato messo a dura prova (ma dal quale è uscito con importanti innovazioni sperimentali scientifiche, come la campagna di vaccinazione più veloce al mondo, che ha visto il 52 per cento degli israeliani ricevere già la doppia dose di vaccino anti Covid), il Paese si è trovato di nuovo travolto dall’onda della politica.

Nonostante ieri sera migliaia di israeliani abbiano manifestato ieri notte nella capotale storica di Israele, Gerusalemme, per chiedere le sue dimissioni, Benjamin Netanyahu, che è divenuto il più longevo dei primi ministri israeliani, governando ben dodici anni senza interruzioni, sembra sicuro di vincere ancora. E anche se il cosiddetto movimento anti-Netanyahu ha preso slancio anche per il complesso caso di presunta incriminazione di corruzione del premier stesso (caso del quale, tuttavia, Benjamin si è sempre detto innocente), nonostante le proteste, dunque, Netanyahu sembra tranquillo: lui, sa, si potrebbe asserire, come trasformare le difficoltà in modalità vincenti. 

E ieri sera, a Revava in Cisgiordania, Benjamin Netanyahu ha chiuso la campagna elettorale. Una campagna mirata a screditare Benny Gantz, ex avversario e poi partner di governo, senza il quale, ha ribadito Netanyahu, tutto tornerà come prima. E, tra i raggi dell’alba che il premier si prospetta per la terra promessa, spunta anche quello della campagna vaccinale, cavallo di battaglia di Israele.

Netanyahu è il premier più longevo della storia di Israele, e ha sfidato e battuto Gantz nelle ultime tre precedenti elezioni anticipate. Tuttavia, l’alleanza con l’avversario gli si è rivelata fatale, il patto di governo si è frantumato e il partito stesso di Netanyahu, Kahol Lavan (“blu e bianco” come i colori di ISralee), ha visto la sua fiamma spegnersi.

Per queste nuove elezioni c’è soltanto da sperare che Netanyahu rimanga come primo ministro, poiché soltanto il 21% ormai vorrebbe un governo con i partiti ultraortodossi. La vittoria, per il premier uscente (e, molto probabilmente, rientrante) è a portata di mano, ma il compromesso è alto: l’alleanza richiesta a Netanyahu è, infatti, con la destra oltranzista sionista, quale il partito ultraortodosso ashkenazita Torah Unita, quello sefardita Shas, il nuovo partito ipernazionalista Sionismo religioso, e la destra nazionalista Yamina guidata da Naftali Bennett.

La vittoria di Netanyahu, se arriderà, sarà stata ottenuta molto probabilmente con patti e compromessi, come quello vaccinale, per l’appunto, che ha reso Israele la prima nazione al mondo a vaccinare più della metà della sua popolazione. E non con Astrazeneca, ma con Pfizer: Netanyahu, fra novembre e dicembre avrebbe, infatti, telefonato per be otto volte al giorno all’amministratore delegato di Pfizer, l’ebreo Albert Bourla, natio di Salonicco, immigrato negli Usa a 34 anni. Il premier d’Israele ha voluto, ad ogni costo, che gli fornisse, a qualsiasi condizione, 10 milioni di dosi.

Così, attraverso le difficoltà della pandemia, Netanyahu è riuscito a ribaltare la sorte e a riprendere in mano, ancora una volta, la situazione e, molto probabilmente, anche la vittoria.