di Achille Colombo Clerici

I primi passi che si stanno compiendo verso l’uscita dal più disastroso choc economico e sociale che ci ha colpiti dopo la seconda “guerra mondiale”, causato dalla pandemia, inducono a stilare un bilancio dei danni, azzardare attendibili previsioni di ripresa e ipotizzare le conseguenze negli anni a venire.

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Il Fmi ha stimato in 22mila miliardi le perdite nella produzione mondiale causate dal coronavirus e ha avvertito che quasi 90 milioni di persone, probabilmente, sprofonderanno sotto la soglia della povertà estrema. Ma al tempo stesso ha ridimensionato le previsioni sulla contrazione del Pil globale per il 2021. Quest’anno il mondo crescerà più del previsto, con un balzo del 5,5%.

Ma la ripresa sarà disuguale. In Cina c’è già stata; gli Stati Uniti la dovrebbero raggiungere nella seconda metà dell’anno; per l’Eurozona la fine del tunnel si comincerà a intravvedere solo a fine 2022 mentre altri Paesi, come l’Italia, potrebbero dover aspettare il 2023 e oltre.   

Spicca nello scenario globale la differenza Stati Uniti-Europa. Il gigantesco piano di salvataggio di Biden valutato in 3.000 miliardi di dollari sembra surclassare i 750 miliardi di euro messi in campo dall’Europa. Ma è difficile fare ragionevoli confronti tra due sistemi economici e sociali molto diversi: il piano Biden contiene costose misure che nei paesi europei sono già incorporate nei sistemi di welfare nazionali, e prevede provvedimenti sociali che buona parte della società americana ritiene ‘socialisteggianti’: per citare, un aumento delle tasse sui redditi oltre i 400.000 dollari, nonché sui redditi delle imprese.

Impressiona comunque noi europei che un assegno mensile equivalente a quasi 1.200 euro sarà devoluto a favore di ogni cittadino che goda di un reddito annuo inferiore a 62.000 dollari, interessando circa la metà degli americani. Fatte salve le considerazioni di cui sopra, ci si chiede se l’Europa – il cui PIL si avvicina molto a quello USA – avrebbe potuto fare di più.

In ogni caso la ripresa deve essere più equa, più inclusiva e più sostenibile altrimenti le ricadute economiche e sociali della pandemia rischiano di portare a disordini sociali, frammentazione politica e tensioni geopolitiche. Proprio noi europei l’abbiamo sperimentato nel 1933.

Nel Great Reset si parla di radicali trasformazioni sul piano economico e sociale; si parla di un modello tripolare che bypassi il dualismo stato-mercato, collettività-persona, che ha improntato tutto il Novecento.

Ma su ogni previsione, valutazione, riflessione domina una realtà: la pandemia non finirà davvero per nessuno finché non finirà per tutti. E la questione dei vaccini in questa ottica diventa per ora assolutamente assorbente e decisiva.