Vecchia Berna – foto Pixabay

Dagli anni Novanta, dalla votazione sull’adesione allo Spazio economico europeo (1992), la società svizzera è profondamente spaccata a proposito dei rapporti con l’UE. Questa spaccatura si è recentemente acuita con le fasi finali del dibattito sul proposto Accordo Istituzionale. Alcune associazioni di cittadini hanno preso pubblicamente posizione schierandosi pro o contro il progetto. Tre sono molto attive: Progresuisse (favorevole), Autonomiesuisse e Kompass/Europa (contrarie). Progresuisse ha pubblicato una lista di 195 personalità che sostengono la sua posizione, Autonomiesuisse i 22 nomi che costituiscono la co-presidenza, Kompass/Europa è nata per iniziativa di Alfred Gantner, fondatore del colosso finanziario Partners Group. Scorrendo la lista dei 1.400 aderenti vi sono molte similitudini con Autonomiesuisse. Ora, pur con tutti i limiti e le approssimazioni del caso, i nomi pubblicati di entrambe le associazioni rappresentano uno spaccato della società svizzera ed è interessante il confronto.

foto Ticinolive

Nella lista Progresuisse vi sono 50 persone che sottolineano la loro qualità di «ex», vale a dire non più attivi o perlomeno non più presenti nella funzione che ha caratterizzato la loro carriera attiva. 33 sono i politici in carica per la maggior parte parlamentari federali di sinistra, 25 Rettori, professori d’università (preoccupati del possibile mancato accesso ai fondi europei di Horizon). Da aggiungere una dozzina di consulenti e una ulteriore dozzina di liberi professionisti più alcuni giornalisti. Per l’imprenditoria il presidente delle banche private svizzere e qualche presidente o consigliere d’amministrazione di società quotate.

La rappresentanza di Autonomiesuisse è molto più coesa. Sui 22 nomi troviamo 2 politici, non vi sono rappresentanti delle varie categorie individuate sopra, perché gli altri 19 sono imprenditori quasi sempre proprietari o azionisti importanti delle loro ditte. Pare molto simile sia la lista dei 900 membri. In Progresuisse, marcata la presenza di coloro che hanno a suo tempo gestito in funzioni diverse la Svizzera, uniti a chi ne ha in parte oggi la gestione tramite la funzione politica e nel mondo accademico. Da un lato una parte influente dell’establishment nazionale, dall’altro la Svizzera che produce, parti importanti di quella imprenditoria medio-piccola che costituisce l’ossatura della nostra economia, che ha interessi che divergono da quelli delle multinazionali, talmente multi da diventare apolidi.

Spaccatura anche nel ramo della metalmeccanica tra l’associazione Swissmem che raggruppa le grosse ditte del settore, pro Accordo, e la Swissmechanic che, con 1.400 soci che danno lavoro a 70.000 persone, vi si oppone. Non possiamo dimenticare l’opposizione dei sindacati. Sono il primo ad ammettere che le mie riflessioni si basano su campioni incompleti e su una mia superficiale analisi. Esami più completi e professionali penso però non giungerebbero a conclusioni molto diverse.

Questa è una delle fratture, ma non l’unica, rispetto all’atteggiamento di gran parte dell’establishment svizzero sul tema dei rapporti con l’UE. Evitiamo però di dividerci in buoni e cattivi svizzeri, siamo tutti svizzeri che vedono in modo diverso le possibilità di assicurare in futuro il successo al Paese, ovviamente giudicando anche tramite la lente dei propri interessi. Purtroppo, i rapporti si sono inaciditi, i contatti sono diventati difficili o inesistenti e ciò non è un bene. Compito anche istituzionale del nostro Governo sarebbe di preoccuparsene per cercare di comporre le divergenze. Sfortunatamente sulla possibilità di successo di un simile intervento gravano i pesanti errori e orientamenti unilaterali del Consiglio federale nel passato.

Nel 1992 la richiesta di adesione all’UE (!), richiesta che per oltre dieci anni non viene ritirata dando inizio alla politica dell’equivoco (fuori ma però non si sa mai, magari una simil-adesione), nel 2002 l’idea di un accordo istituzionale è nostra e non dell’UE, nel 2013 il Governo formula il mandato per le trattative con Bruxelles con un testo che è stato definito dilettantesco, anche l’infelice idea di accettare l’intervento della Corte europea nel caso di possibili controversie è svizzera. Date le premesse è uscito un progetto di accordo inaccettabile per noi. Nel 2018 la prima mossa intelligente, quella di sottoporre il testo a consultazioni nel Paese.

Risultato: una serie di aspetti contestati oltre ai tre punti comunicati ufficialmente a Bruxelles, un’opinione pubblica in maggioranza fortemente contraria. Su questa base finalmente il Consiglio federale non può in sostanza che ammettere che l’Accordo non può venir accettato. L’incontro di Bruxelles è stato un atto di intelligenza politica e abile pragmatismo. Constata in termini diplomatici l’impossibilità di un accordo sulle basi proposte, le parti si prendono una pausa di riflessione, pur rimanendo in contatto. Tutto bene, salvo l’agitazione di alcuni parlamentari svizzeri in fregola di protagonismo che hanno reagito molto male e vorrebbero imporre al Consiglio federale – senza averne la competenza costituzionale – di tornare subito a negoziare. Passo falso e pericoloso che da un lato acuisce la spaccatura nel Paese, dall’altro indebolisce la posizione della Svizzera nei confronti dell’UE.

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