di Vittorio Volpi

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La pandemia oltre ai danni ha imposto molti cambiamenti nella distribuzione dei prodotti. Ha dato gravi grattacapi ai piccoli negozi a causa della limitata mobilità dei clienti, ma anche ai big players (supermercati, department stores, ecc.). Molti negozi si sono dovuti attrezzare per la consegna fisica dei prodotti a domicilio, altri, gioco forza, magari del tutto impreparati, hanno dovuto inventare l’approccio alla clientela via internet creando le basi per l’e-commerce: tutto a causa della pandemia.

Il problema è cosa bisognerà fare quando si tornerà alla normalità? Ritornerà tutto come prima oppure sarà quasi tutto diverso? Come per Amleto, qui sta il dilemma.

Interessante osservare quali siano le esperienze nel Sol Levante. Popolazione di 126 milioni di abitanti che invecchia velocemente, un esercito di anziani (35 milioni di giapponesi over 65) ed una tradizione di distribuzione al dettaglio, negozi famigliari, con una storia ed una radicazione nella vita dei giapponesi rara da riscontrare.

Pensiamo per esempio a tutti gli shouten gai (shopping street) la miriade di negozietti che sono lì da decenni, secoli che hanno servito il nonno, il papà e dove si è creato un rapporto quasi di parentela. Io ho vissuto vicino ad un shouten gai ed i miei figli erano conosciuti da tutti i negozianti e chiamati per nome. Per non parlare dei depaato (i grandi magazzini) dove si fanno le spese più importanti e che hanno di tutto. Ho letto che il Mitsukoshi isetan di Shinjuku, un quartiere di Tokyo, durante la crisi ha messo a disposizione dei suoi clienti di tutto sul web, circa 1 milione di prodotti.

Tale Grande Magazzino è storico – ben 348 anni di esistenza e  al suo interno è immenso. Ci si può passare la giornata tra un prodotto e l’altro, da un piano all’altro.

Ora la pandemia cambierà in Giappone tutto questo? Si andrà verso gli acquisti online oppure si ritornerà alle origini oppure ci sarà spazio per entrambe le tipologie con enfasi sull’e-commerce? Vediamo innanzitutto lo status quo.

Contrariamente a quello che si può pensare la penetrazione dell’e-commerce in Giappone è in ritardo rispetto ad altri paesi. Sembrerebbe strano per una nazione dove il tasso di scolarità è uno dei più alti al mondo e che in fatto di elettronica non è secondo a  nessuno.

Le ragioni sono individuabili nel conservatorismo e nel compiacimento che provengono dalla storia, cultura, tradizione. I dati lo dicono. La parte del leone la fa la Cina, per tanti motivi. Il tasso di inserimento dell’e-commerce è addirittura del 52% (fonte FT). Gli Usa sono al 15%, l’Europa Occidentale il 13% , il Giappone solo l’11%. Conferma che la Cina non è più quella di 50 anni fa che molti ancora pensano sia. Meglio aprire gli occhi. 

C’è ampio margine di crescita dell’e-commerce che è un’autostrada aperta. Durante la pandemia tutti hanno fatto esperienze sulle quali sicuramente costruiranno. Il citato Mitsukoshi isetan si è attrezzato durante la lunga crisi mettendo online, si dice, 1 milione di prodotti con buoni risultati. Ito Yokado, un’altra catena di Grandi Magazzini, 132 negozi nel paese, ha organizzato un delivery service basato su 400 prodotti alimentari previa ordinazione online da parte dei clienti (verdure, frutta, pesce fresco, carne, ecc). Pare che sia un grande successo soprattutto con le generazioni più anziane meno propense a recarsi nei negozi.

Ad approfittarne maggiormente però sono le vendite delle aziende che soni nate via web. Zozo ad esempio nel trimestre ha aumentato le vendite del 41% (moda). Esplose quella delle application Mercari, vestiti di seconda mano ed accessori usati (borse, cinture, ect).  

Uniqlo, la marca per la quale Roger Federer è il testimonial, ha aumentato le vendite negozi del 5.6% e quelle online del 41%. A fine anno sarà un pieno di profitti!

Alcune mosse che sono indicative su come si orienterà il futuro ci arrivano da alcune aziende che sono dei  trend setters, cioè guide di tendenza.

In primis la Rakuten, azienda molto dinamica. Ha ceduto l’8% delle azioni a Japan Post (JP-le vecchie poste). Rakuten combinerà quindi il suo primato di business digitale con la solidità dei negozi di JP (uffici postali) in tutti i luoghi del paese. Il pensiero di fondo è che serviranno tutte e due le cose: fisico e digitale. Uno solo non basta, è l’accoppiata che conta.

L’altro è appunto Uniqlo che ha potenziato al massimo il suo e-commerce, ma in forte sintonia con i suoi negozi super tecnologici, veramente efficienti. Insomma, non è l’uno o l’altro, ma uniti con giudizio.

Più dura sarà per i negozi singoli Mon and Pop, negozi famigliari che dovranno sempre più subire la concorrenza fisica e digitale dei grandi e sarà una dura battaglia per la sopravvivenza.