Al museo della Permanente di Milano

di Cristina T. Chiochia

Ritratto mancato (1971)

Torna il realismo in Italia (ed a Milano in particolare) ma come sarà stavolta?  Sarà possibile descrivere l’uomo in quanto tale? Parti anatomiche o unità di identità. Avremo timore di guardare la crisi attraverso un filtro o troveremo un nuovo modo di fare i conti con la realtà? Quasi in una sorta di dubbio amletico del “non sono più e non sono” dopo il lato crudele ed

il lato macabro della pandemia, è arrivato il momento di parlarne e forse, di vedere, quasi in una sorta di specchio, nell’arte proprio una possibile risposta.

La mostra su Mino Ceretti al museo della Permanente di Milano offre questa “dimensionalità dell’uomo”, appiattita dalla omologazione, frammentata, attraverso una immagine che diventa ombra di sè che offre una maggiore concretezza. Quasi una sorta di figura umana che diventa bersaglio della vita. Un uomo messo al centro del quadro, quasi per essere colpito. Fragile. Come l’uomo di ora, davanti al futuro del post-pandemia.

Si è aperta la mostra di “Ceretti. La centralità della pittura” a cura di Simona Bartolena. Apertura avvenuta il 4 giugno con chiusura al 25 luglio 2021, ingresso libero. Come recita il comunicato stampa: “La Permanente dà inizio con questa mostra a un progetto che ne ripercorre la storia con una serie di personali dei grandi maestri che ne hanno fatto e ne fanno parte. La prima di queste esposizioni è dedicata a un artista indiscutibile, la cui ricerca ha attraversato la seconda metà del Novecento ed è giunta fino all’oggi, mantenendo, negli anni, la propria forza e la propria credibilità: Mino Ceretti.La mostra traccia un percorso nella produzione dell’artista, suggerendo letture su alcuni dei suoi temi principali mediante una selezione di opere datate dagli anni Sessanta a oggi (scelte tra quelle conservate nello studio dell’artista), e “trascura” intenzionalmente la sua fase più nota e dibattuta, quella del Realismo esistenziale”. 

Figura bersaglio (1968)

Un dialogo nel dialogo, la mostra proposta su Ceretti. Un uomo che si offre in un continuo scambio in maniera inquieta e procede per intuizioni. L’uomo che impara a “convivere” in una natura domestica dello spazio. Che cambia di continuo la percezione tra interno ed esterno. Come uno spettatore dello “spazio della tela”. La pittura milanese di Ceretti del dopoguerra che parla alla sua città post- pandemia, con un ricordo che non è neppure tanto lontano dall’attuale quotidianità.

Gli intellettuali nati e cresciuti all’ombra dell’Accademia di Brera che partecipano a quella “possibilità di relazione” (come il nome  della mostra del 1960 dove partecipa a “Possibilità di relazione” alla Galleria L’Attico di Roma, mostra di riferimento nel dibattito sul superamento dell’Informale) che affronta i valori nell’azione pittorica.

Mino Ceretti come poetica del frammento? Chissà. Sicuramente consente alla tela di “entrare” nel quadro e domandarsi cosa stiamo guardando al fine di creare un nuovo compendio della dimensione dell’uomo attuale. Esattamente la stessa domanda che ognuno, in questo periodo post-pandemico, si rivolge , ogni giorno.