di Vittorio Volpi

Damasco, Moschea degli Omayyadi – Pixabay (SofieLayla Thal)

I motivi per parlare della Siria sono duplici. Il primo è che quest’anno cade il 10mo anniversario dall’inizio della rivolta popolare contro il regime dittatoriale di Bashar al-Assad. Rivolta abortita, inizio repressione e guerra civile.

È un triste anniversario anche perché il paese nonostante Assad cerchi di far credere che è sotto il suo controllo, la Siria è in macerie. Per motivi di convenienza, religiosi e tribali, tutti combattono contro tutti e parecchie potenze straniere perseguono le loro strategie senza nessun rispetto umanitario.

Il secondo motivo è che ora si muove anche la Cina che finora era rimasta in disparte alla finestra sostenendo Assad al Consiglio di sicurezza dell’ONU senza però un coinvolgimento militare tranne, immaginiamo, quello di fornire armamenti. Sostenendo Assad e quello che rimane della Siria la Cina potrebbe strategicamente estendere un’asse anti-occidentale da Mosca a Teheran a Pechino.

Un altro scacco matto anche agli Usa che non vollero farsi coinvolgere nel contrasto ad Assad con Obama ed ora si limitano a sostenere i curdi che come sappiamo sono in odio alla Turchia di Erdogan che si è inserita in Siria con ambizioni.

Circa la Cina, il Ministro degli Esteri Wang Yi è stato il primo dignitario straniero a rendere visita ad Assad dopo che, riferisce il Corriere della Sera, “è stato rieletto con il 95% dei voti alle elezioni di maggio con un risultato decisamente contestato. La visita ha coinciso con la cerimonia di giuramento”.

E veniamo ai regali che la Cina porta in dote: l’entrata della Siria nella BRI (Belt and Road Initiative), il piano di interconnessioni -controllare senza occupare- i paesi dell’Asia Centrale che scorrono verso l’Europa. In parole spicciole, investimenti ed infrastrutture in Asia e Medio Oriente in cambio dell’accesso ai mercati locali e del supporto diplomatico.

Hua Liming, ex Ambasciatore cinese a Teheran,ha sostenuto che “l’indipendenza cinese dimostra la sua lungimiranza…” e non è schizzinosa anche verso dei dittatori criminali come Assad per perseguire i suoi obiettivi politici. In ciò facilitata dal ritiro in Medio Oriente di Washington (leggi le recenti mosse in Afghanistan). D’altra parte il regime di Assad è strangolato anche dalle sanzioni occidentali (Usa) e dalla grave crisi libanese per cui è giocoforza il motto “supportiamo la Cina incondizionatamente”.

Da Mosca, massimo supporto insieme all’Iran, ma la Cina ha i soldi, la tecnologia, la visione politica. Venendo al paese, possiamo dire che la Siria è un cumulo di macerie, anche se è in una fase di tregua militare che non si sa però quanto durerà. Circa un decennio fa aveva 23 milioni di abitanti, ora metà della popolazione è fuggita all’estero, Libano, Giordania, Iraq e nelle zone controllate dai turchi oltre che essere diventati richiedenti d’asilo politico in Europa. Circa 12 milioni hanno lasciato le loro case. Osservando la mappa geopolitica c’è da mettersi le mani nei capelli. Territori controllati, 2/3 da Assad ed alleati, un pezzo dai curdi, una zona controllata dai ribelli con predominanza dei gruppi jihadisti, a nord dai turchi e dei gruppi siriani loro alleati, a sud le fazioni appoggiate dall’Occidente e per finire da zone Isis.

Nei 10 anni un massacro, anche con l’uso di gas tossici da parte di Assad, ben 387 mila morti. Il 90% della popolazione è in totale necessità di assistenza sanitaria. La scuola un mero ricordo per un milione di bambini. Il 60% della popolazione è a rischio fame. Per questo da tempo si parla della Siria in preda ad un fenomeno di balcanizzazione  dove ogni zona ha le proprie milizie, protette, ciascuna, da uno stato straniero.

Tant’è che il New York Times ha scritto che “i siriani che erano considerati classe media, oggi sono diventati poveri e la pandemia ha messo in crisi il sistema sanitario. Le tribù druse del Sud, quelle arabe all’Est e persino la setta Alauita di Assad sulla costa si  arrangiano anche per i vaccini da sole”.

In conclusione si può dire che la Siria non esiste più con un leader che è sempre più fuori dal mondo. Un campo di battaglia per potenti e prepotenti, ma guardando al futuro, strategicamente importante.