soldati-israelianiSacchi 2xAmpia e magistrale intervista sul Mattino di Mattia Sacchi a Michael Sfaradi, il giornalista/reporter di guerra/scrittore di Tel Aviv, nato a Roma, che arriva oggi a Lugano.

L’appuntamento è per le 18 all’Hotel Dante. Sfaradi presenterà il suo ultimo romanzo (ovviamente in italiano) dal titolo criptico “Am Groner Freibad n. 5” e risponderà alle domande del pubblico. L’autore sarà presentato dal direttore di Ticinolive Francesco De Maria.  Al termine sarà offerto un aperitivo.

* * *

Michael Sfaradi, che cos’ha scritto questa volta?  

MSf  Chi ha letto i miei libri mi conosce come scrittore di thriller e di romanzi di investigazione. In questo caso in­vece racconto la storia di un ragazzo che, dopo aver vissuto alcuni episodi di antisemitismo in Italia, decide di lasciare tutto per andare in Israele. Un libro che ho scritto non con l’in­chiostro ma con le lacrime e il san­gue.

Sfaradi 32Un libro dai contorni autobiogra­fici…

MSf  Faccio parte di quella generazione, presente in tutta Europa, che tra gli anni ’70 e gli ’80 ha deciso di non ac­cettare più di vivere in posti dove non si sentiva bene accetto e anzi, era straniero in casa propria. Me ne andai dall’Italia per trasferirmi in Israele a 23 anni, come tanti miei coetanei. E’ stata una piccola immi­grazione, 4-5000 persone. Però fanno parte della mia storia e di quella dei miei amici: non volevo an­dasse persa.

Cos’era Israele per voi ragazzi ebrei?

MSf  Una “terra promessa”, dove si po­teva vivere lontano dall’antisemiti­smo. In Israele ho incontrato persone che venivano dal Sudamerica, dal­l’Europa, da paesi impensabili, anche la Svizzera italiana. Ognuno aveva lasciato la propria terra natia con motivazioni differenti, ma il mi­nimo comun denominatore era la di­scriminazione religiosa costante che avvertivamo nella nostra quotidia­nità. Eravamo stufi di vivere in quella condizione, volevamo stare in un posto dove era possibile difendersi autonomamente da qualsiasi tipo di attacco.

In quegli anni Israele era impe­gnata nella guerra del Libano: non era più pericoloso che stare in Eu­ropa?

MSf  Assolutamente no. Per gli ebrei era più rischioso essere in posti come Ita­lia o Germania. Basti pensare agli at­tentati di Monaco, con i terroristi sopravvissuti che sono stati addirit­tura liberati e accolti come eroi in Libia. I governi europei locali scen­devano a patti con i terroristi per evi­tare attentati sul proprio suolo nazionale: si ragionava ribaltando le responsabilità delle violenze, come se la stessa esistenza di Israele fosse una colpa. Le vittime diventavano colpevoli.

In Israele ha trovato la “terra pro­messa” che cercava?

MSf  Sotto certi aspetti sì, anche se ero co­sciente che non sarebbe mai stato possibile sperare in una tranquillità completa e assoluta. Ma tutti quelli che hanno fatto il mio stesso percorso hanno sicuramente trovato un modo diverso di affrontare la vita, rispetto a quello che avrebbero fatto rima­nendo nei paesi natii. Gli episodi di discriminazione ci hanno segnato, questo cambio di vita ci ha fatto cre­scere e diventare persone diverse. Aprendo molte possibilità che non avremmo mai avuto nei paesi d’ori­gine.

Ad esempio?

MSf  Personalmente, mai avrei pensato di diventare scrittore o giornalista. In Israele ho potuto. Figuriamoci in Ita­lia, dove la libertà di stampa è a dir poco pessima: pensate che non po­tevo parlare della situazione medio­rientale altrimenti sarei stato immediatamente censurato. Mentre il tanto discusso Israele è uno dei pochi paesi al mondo dove la stampa araba non viene sottoposta a censura go­vernativa.

La convivenza tra ebrei e arabi è mai stata possibile?

MSf  Sicuramente in questi anni si stanno deteriorando certi rapporti, ma la re­altà è molto diversa all’immagine che vogliono dare i media internazionali. Io ogni sabato da ragazzo andavo al centro di Gaza per fare la spesa nello splendido mercato della città, che era piena di israeliani che convivevano in tutta serenità con i palestinesi. Anzi, eravamo ben visti perché porta­vamo un sacco di lavoro. Pensate che, nei conflitti del ’67 e del ’73, gli arabi israeliani facevano i turni doppi e gli straordinari per non chiu­dere le fabbriche dove lavoravano gli ebrei impegnati al fronte. Era una so­cietà multietnica che aveva reciproci vantaggi. Gli arabi delle zone di con­fine sapevano che con i coloni arri­vavano le fabbriche, il lavoro, acqua, energia, quando la Giordania non aveva mai costruito nulla: i boicot­taggi contro Israele non fanno male non solo agli israeliani ma anche agli stessi palestinesi.

E allora come mai nonostante i trattati di pace non si riesce a far cessare le tensioni?

MSf  Credo che alcune volte abbiano avuto per assurdo gli effetti contrari. Come quello di Oslo, che ha sezionato al­cuni territori, creando divisioni e di­sparità all’interno della stessa popolazione palestinese, causando tensioni sociali. Tutti i miliardi arri­vati dall’Europa e dagli Stati Uniti sono finiti nelle tasche di gente cor­rotta e non sono stati investiti nei pro­getti per far progredire la popolazione. Parliamo di miliardi, che dovevano avviare scuole, ospe­dali e infrastrutture e che invece sono finiti nel tesoro di Arafat… Ma tanto basta dire che è tutta colpa di Israele e i movimenti di massa si comportano come un’onda anomala.

Come si esce da questa situazione?

MSf  L’unica soluzione è la convivenza. Far convivere culture, religioni, si­tuazioni diverse. E’ la grande sfida dei prossimi anni. L’attualità interna­zionale racconta di ragazzi di se­conda e terza generazione che provengono da famiglia musulmane e che si rendono autori di terribili atti di terrorismo. Bisogna convivere met­tendo quei paletti che servono alla di­fesa culturale delle proprie tradizioni e del rispetto reciproco. Non pos­siamo cancellare il nostro passato.

A proposito di convivenza, le poli­tiche di molti governi europei vanno però in direzione opposta.

MSf  Esatto. E la cosa mi preoccupa molto. Non so quanto ancora i governi eu­ropei possano continuare a preten­dere che la popolazione accetti cose che la maggior parte di loro ormai non vuole più sentire. Il rischio è che la situazione sfugga di mano, con il potere che finirà in mano a chi saprà cavalcare il malcontento con politi­che estremiste e ancora più dannose. La realtà è che l’Europa non è pronta a questa immigrazione di massa, ge­stita senza pianificazione. Ci sono de­cine di rapporti del Mossad che già tanti anni fa spiegavano come tra il 20% degli immigrati che arrivavano in Europa si nascondessero terroristi o cellule dormienti. Rapporti total­mente ignorati dai paesi europei.

Torna regolarmente in Italia: c’è un differente approccio verso gli ebrei rispetto a quando è partito?

MSf  Torno meno di un paio di settimane l’anno e posso constatare che la dif­ferenza è più dal punto di vista for­male. All’epoca l’antisemitismo era comunque nascosto da un certo pu­dore. Che oggi manca: la gente non ti dice più che è antisemita ma che è antisionista, giustificando quindi un certo disprezzo e le critiche a Israele, qualsiasi decisione il governo israe­liano prenda. Mentre lo stesso non è stato fatto verso il governo palesti­nese, nonostante scelte scellerate ed egoistiche prese dai loro capi di stato. Io di fronte a questo non voglio rima­nere in silenzio: è nostro compito de­nunciare la realtà e raccontarla ai quattro venti.

Intervista di Mattia Sacchi

Groner