2020

Passi veloci si avvicinarono alla porta che si aprì, e mentre l’uomo stava per ribadire a brutto muso che non voleva essere disturbato, due cupi sibili, quasi impercettibili, tagliarono l’aria e due macchie rosse si allargarono sulla sua camicia bianca. Una smorfia di terrore e l’uomo, prima di morire, cadde all’indietro.

“Mossad, una notte a Teheran”, il nuovo romanzo di Michael Sfaradi (ed. La nave di Teseo, 2020, 538 pagine) è un romanzo di spionaggio, azione, colpi di scena e politica. Non è il classico 007 ma una serrata e realistica indagine ispirata a fatti realmente accaduti, ovvero la scoperta da parte del Mossad di 55 mila file, elettronici e cartacei, del peso di cinquecento chilogrammi che confermavano la mancata sospensione del programma nucleare militare iraniano dopo la firma degli accordi di Ginevra.

Una scoperta, quella del Mossad (l’agenzia di Intelligence dello Stato di Israele) che il premier Benjamin Netanyahu non esitò a mostrare, il 30 aprile 2018, in diretta televisiva. Una mossa audace e salvifica, forse, addirittura, per il mondo intero… come l’azione del Messia.

E proprio come il Messia e i dodici apostoli, il direttore del Mossad agisce con dodici uomini infiltrati nella terra degli Ayatollah, ognuno chiamato Apostolo contraddistinto da una cifra accanto al proprio nome. Dall’uno al dodici.

Dimenticate, dicevo, il classico 007. Qui non ci sono le Honey Ryder tutte latte e miele, ma donne vere, vicine al popolo come la bella “Magdala”, figlia di una famiglia persiana scampata alla dittatura di Khomeini.

Il James Bond di questo romanzo è “Apostolo 04” Agente operativo del Mossad, lungimirante, testardo e talvolta impulsivo, ma di straordinaria lucidità. Soprattutto nei momenti di alta tensione.

Il romanzo di Sfaradi, infatti, non si ferma a un intreccio creato con maestria, suspense e dinamicità, ma va a fondo offrendo al lettore personaggi dal profilo diamantino, dalle ambigue sfaccettature e di straordinaria umanità. Ilan Ghorbani e Saman Yeganeh hanno alle spalle un tormentato passato familiare e hanno trovato rifugio dal mondo combattendo per esso.

Agiscono così nei meandri dell’Intelligence, sotto la biblica identità rispettivamente di Apostolo 04 e di Magdala. Gli agenti segreti di Sfaradi non sono super eroi della Marvel, bensì persone, pur con straordinarie doti, che talvolta piegano il loro animo alle fragili debolezze umane, sempre tenendo alto il nome del loro credo.

Michael Sfaradi

Cittadini di Israele ma cresciuti nel ricordo e nelle tradizioni di mondi lontani. Magdala, ad esempio, ha in mente i racconti della nonna che aveva nostalgia dell’Iran di Reza Pahlavi, alla caduta del quale dovette fuggire per non sottostare al regime islamista di Khomeini.

Tetra realtà in cui si ritroverà una sera, durante la missione in Iran, quando al riparo dalla dittatura penetrante sin nei più intimi recessi, le donne più anziane raccontavano alle più giovani le stesse storie del tempo che fu che lei aveva ascoltato da bambina. Storie raccontate alle giovani iraniane che non avevano mai conosciuto la vita per come è vissuta fuori dal tallone schiacciante della dittatura religiosa, storie di feste e di balli che tramandavano alle generazioni future la speranza di un ritorno a quel passato che sopravvive solo nel rimpianto dei più anziani.

Con rammarico ma senza retorica, con nostalgico realismo senza giudizio, Sfaradi interseca alla perfezione lucide e brevi parentesi della storia contemporanea.

Almeno nel primo periodo si era convinti che tutta quella confusione, che chiamavano rivoluzione, non avrebbe attecchito e che gli inglesi e gli americani avrebbero presto rimesso lo Scià sul trono. Ma quando l’Ayatollah Ruhollah Khomeyni scese dall’aereo francese, fu chiaro anche ai più testardi che il periodo monarchico era finito e che presto il medioevo sarebbe resuscitato in tutta la Persia.

Sfaradi spazia sapientemente da sparatorie insanguinate a pacate (ma solo apparentemente) atmosfere: da quelle occidentali, come un Natale a Berlino, dove nei caldi pub per giovani studenti si diffonde l’aroma del Glűhwein, a quelle orientali, come i ginecei di Teheran, dove il Tahdig il riso croccante, viene fritto all’interno di padelle imburrate e il pane cotto su piastre ardenti. E lunghi, interminabili viaggi, tra deserti polverosi, dove i personaggi, sotto mentite spoglie islamiche, tengono sotto i veli, pesanti cinture di cuoio guarnite di proiettili e raffinate pistole come le Glock 17, 19, 26, tutte con lo stesso calibro: il 9×21.

Una Notte a Teheran, Michael Sfaradi, La nave di Teseo, 2020, 538 pagine. Ordinabile in tutte le librerie e disponibile in tutto il Canton Ticino, distribuito dal gruppo Prodest.

Nel silenzio scenico, pregno di riflessioni, flash back e prolessi, a farla da padrona è la fiducia, e quando la vita dei protagonisti è sospesa sul filo del rasoio, non resta che affidarsi al proprio accompagnatore senza parlare. Oppure impugnare, prontamente, la pistola.

a cura di Chantal Fantuzzi