Woke è un termine nel quale ci si imbatte sovente. Nello slang afroamericano vuol dire «sveglio», ma sempre più ha assunto il significato di «star sveglio» o meglio «attento a non farti far fesso». Sta anche a indicare un’ideologia che si è sviluppata negli ultimi anni attorno a questa diffidenza.
Partendo dagli USA ha preso piede in Europa. La tesi centrale è che la nostra civiltà, quella occidentale, non è che l’espressione del potere dei bianchi che hanno schiavizzato le altre culture e i loro popoli e continuano a farlo ancora oggi. Un potere avido e corrotto che approfitta di una cultura dominante e sfrutta i deboli e gli oppressi, negli USA in modo particolare gli afroamericani.
Un perpetuo rapporto di schiavitù sia pure nella forma di un più sottile colonialismo.
I sostenitori sono presenti nel movimento «cancel culture», che ritiene che la nostra cultura, quella che ha prodotto le eccezionali testimonianze che ancora oggi ammiriamo, dagli scritti di Dante, Shakespeare e Goethe, alle cattedrali, ai dipinti, ricordando Monna Lisa, alle musiche, ma anche alle strade e acquedotti romani, alla filosofia greca al diritto romano, alle successive scoperte tecnologiche, non ha diritto divenir ricordata.
Va cancellata, è un ingannevole specchietto per le allodole. Gli eccezionali progressi delle condizioni di vita – alimentari, sanitarie, di scolarizzazione – l’aumento della longevità e della mobilità, ma anche i progressi tecnici e delle comodità vengono totalmente ignorati o molto relativizzati.
Il fatto che tutti si stia meglio, anche i più deboli e fragili, sia pur con disuguaglianze, fenomeno che ci accompagnerà sempre dato che l’ugualitarismo fa a pugni con le differenze tra gli esseri umani, ma con l’impegno di togliere gli ostacoli all’ascesa sociale, è del tutto ignorato. Che poi le sacche di miseria e di iniquità maggiori si trovino in continenti e Paesi di altre culture è pure ignorato.
L’avversione verso la nostra società, anche se in gradazioni diverse, comporta la convinzione che solo cambiamenti rivoluzionari possano emendarci da una situazione ritenuta socialmente insostenibile. In tale ambito si accomunano correnti di pensiero dalle diverse origini e dai diversi scopi: da chi vuol imporre un nuovo modo di scrivere ed esprimersi, a chi nega la biologia e la differenza tra i sessi, dai rappresentanti di LGBT con una nuova visione della sessualità, da chi non crede più all’utilità
della famiglia, da forme di femminismo contestatario, da chi non si limita ad essere preoccupato (giustamente) a proposito del clima, ma vuol capovolgere il rapporto degli umani con la natura, a chi si batte per il meticciaggio culturale e per l’apertura all’immigrazione illimitata, a chi infine predica l’estinzione della nostra razza e postula la decrescita felice.
Woke è l’espressione che riassume e accompagna la diffusione di tali teorie chiamate postmoderniste e più avanti decostruzioniste. La tesi di base è che la realtà non esiste, è una costruzione puramente sociale che si esprime attraverso forme di linguaggio che permettono
al potere di imporsi, difendere i propri interessi e privilegi. La lezione ci viene negli ultimi decenni dello scorso secolo particolarmente dal filosofo francese Derrida.
In Paesi democratici la libertà di espressione dev’essere sacra. Anche tesi cervellotiche e sconclusionate di qualsiasi genere hanno il diritto di essere sostenute, quelle più fondate saranno giusto oggetto di dibattiti e talvolta all’origine di mutamenti nella società.
Preoccupa però che i movimenti woke non tollerino il contraddittorio e la difesa di altre tesi. Il numero di dibattiti vietati, prevalentemente nelle università, di professori che hanno perso il posto per il fatto di non condividere la moda «woke», specie relativamente alla distinzione biologica, impensierisce e soffoca la discussione.
Alcuni «woke» vedono un mondo pieno di violenze subite dalle minoranze che dovrebbero venir risarcite imponendo uguali ingiustizie ai dominatori di ieri di oggi, vale a dire ai bianchi.
Nel loro libro Cynical Theories, Helen Pluckrose e James Lindsay evidenziano la differenza tra la tesi woke e il comunismo. Quest’ultimo è fallito ma aspirava a una utopica società avanzata e tecnologica animata da un grande progetto, anche se illusorio e destinato all’insuccesso nella pratica realizzazione. Pur con gli errori, Marx è stato uno dei maggiori pensatori del suo secolo. Per contro, debole è l’impianto teorico dei movimenti woke, spinti dalla comune intenzione di distruggere sin dalle fondamenta tutto quanto costruito dalle passate generazioni, dalla Storia, e animati da sentimenti di acredine e rivalsa.
Rivendicazioni di minoranze, che possono suscitare legittime sensibilità, vengono esasperate e usate quale pretesto e paravento per nascondere la pericolosità degli intenti e dei fini.
Fortunatamente dopo un troppo lungo periodo di disattenzioni, che portavano a considerare certe prese di posizione (specie nelle università) forme snobistiche da intellettuali annoiati, si comincia a rendersi conto della pericolosità di tali atteggiamenti e delle teorie che li vorrebbero giustificare. Anche per noi pacifici borghesi è arrivato il momento di stare «woke».