IL LATO OSCURO DEGLI INDIANI D’AMERICA
A cura di Fabio Traverso
La cosiddetta generazione Z, quella nata negli anni sessanta , e quelle successive sono cresciute nel mito del “buon selvaggio” ovvero del buon nativo americano.
A partire da film che hanno segnato un’epoca come “Soldato blu” ,”Il piccolo grande uomo” per arrivare a “Balla coi lupi” i nativi americani sono stati descritti come un popolo nobile e fiero, vittima dell’avidità e della prepotenza dei bianchi i quali non esitarono a perpetrare nei loro confronti un autentico genocidio.
Proprio l’accusa di genocidio è quella da cui occorre iniziare la disanima per una seria ricostruzione storica sul “problema indiano” nel Nordamerica.
Oggi negli Stati Uniti si stima la presenza di quasi dieci milioni di nativi, l’assenza di statistiche ufficiali relative al loro numero all’inizio del xix secolo conduce alle ricostruzione più arbitrarie ed inverosimili che vanno dai due ai dodici milioni .
In realtà come ha dimostrato uno scrittore non accademico come Rino Albertarelli che tuttavia ha approfondito la questione del punto di vista della demografia, un’economia nomade basata su caccia e raccolta è del tutto incompatibile con la presenza di dodici milioni di persone nel territorio degli attuali USA, Albertarelli arriva alla conclusione che il numero di nativi all’inizio dell’ottocento possa essere stimabile sulle ottocentomila unità, arrivando alla conclusione che non si è verificato nessun genocidio dei pellirossa.
Del resto è risaputo che la principale causa di morte per i nativi furono le malattie derivanti dal contatto con i bianchi , un “genocidio” non voluto e , stante le conoscenze mediche del tempo, non evitabile.
Semmai contemporaneamente si sono effettivamente verificati nell’America meridionale genocidi di autoctoni in Cile e in Argentina, paesi che nessuno ha mai chiamato alla sbarra del tribunale della storia.
Altra questione è il preteso carattere idilliaco delle società dei nativi che, si sostiene, erano caratterizzate da egualitarismo e giustizia oltre che da un ecologismo ante -litteram .
Per quanto riguarda quest’ultimo punto quella dei Nativi americani , come tutte le economie nomadistiche, si basava invece su un rapporto di sfruttamento intensivo delle risorse naturali basato , in quello specifico caso, sulla deforestazione a seguito della quali si formarono le attuali “grandi pianure”, paradossalmente fu con l’aborrita civiltà dei bianchi che prese campo il conservazionismo naturalistico con la creazione dei grandi parchi naturali come quello di Yellowstone.
Per quanto riguarda il primo punto tutte le tribù native praticavano in forma istituzionale la schiavitù, sia di altri nativi che di neri o, come vedremo in seguito di bianchi; in particolare i Nativi si compiacevano di avere schiavi di colore che ritenevano inferiori dal punto di vista razziale, nel corso della guerra civile americana i Nativi si schierarono militarmente al fianco del sud schiavista.
Particolarmente pesante era la sorte delle schiave donne, destinate nel contempo a soddisfare le voglie dei capi e soggette alla gelosia e alla crudeltà delle loro mogli.
Sotto questo aspetto anche i Nativi erano caratterizzati dall’avidità, di armi da fuoco, alcool e donne, allo stesso modo dei bianchi, chè tale è la natura umana, semplicemente le loro società erano tecnologicamente meno evolute.
Tutta la mia generazione si è commossa e indignata nell’assistere alla rappresentazione cinematografica di episodi come la strage del Wachita River, tuttavia i nativi americani non erano certo da meno in quanto a violenze e crudeltà nei confronti dei civili bianchi, comprese donne e bambini.
E’ tipico dei Nativi il ricorso , spesso del tutto crudele e gratuito, alla tortura , una pratica che il canone classico occidentale ha da sempre aborrito stigmatizzando chi vi ricorreva come barbaro o infido come i cartaginesi che suppliziarono Attilio Regolo o gli Unni, che probabilmente condividevano con i Nativi americani l’origine nelle steppe asiatiche oltre che molte altre analogie.
Questa scomoda verità è ricordata dallo storico G.S. Gwinne “l’impero della luna d’estate” che rievoca la vicenda della giovane Cinthya Ann Parker , rapita giovanissima nel 1868 dai Comanches dopo che questi massacrarono sotto i suoi occhi tutta la sua famiglia, evirando il nonno e violentando una sua cugina incinta.
Probabilmente la giovane Cinthya Ann venne salvata dalla sua avvenenza , tuttavia , quando 24 anni dopo venne liberata dall’esercito la sua psiche era irrimediabilmente compromessa.
Sempre i Comanches erano noti per il trattamento riservato a bambini e neonati bianchi che erano lanciati per aria ed infilzati con le lance, ai bambini cui era risparmiata la morte per essere rapiti era invece riservata una via crucis durissima di umiliazioni e torture fisiche e psicologiche, tale da minare a loro volta l’equilibrio psichico , questo è ad esempio il caso di Hermann Lehmann , bambino di origine tedesca rapito a dieci anni dagli apaches e a cui si deve in tarda età un libro di memorie.
Le vittime di questi raid erano perlopiù coloni poverissimi , poco o per nulla armati, provenienti da paesi d’oltreoceano come l’Europa dell’est o del nord (nell’ottocento nazioni come Svezia , Norvegia o Danimarca erano poverissimi) i quali non desideravano occupare le terre dei nativi ma semplicemente attraversarle diretti verso la California.
Non vi è pertanto da stupirsi se l’esercito americano si sforzasse si proteggere questi “migranti”, naturalmente si verificarono eccidi ed efferatezze anche ai danni dei Nativi ma tutti questi episodi devono essere sottratti dall’ingenua cornice manichea entro cui da sessant’anni è stata affrontata la questione.
Su queste tematiche vi è ormai un abbondante produzione scientifica frutto del lavoro di storici coraggiosi (alcuni dei quali peraltro di origine Nativa) quanto osteggiati dal mainstream “ciò che diciamo” ripetono quasi all’unisono “non è quello che la gente vuol sentirsi dire “, sessant’anni di propaganda sul “genocidio degli indiani d’America” e su una visione manichea del rapporto tra bianchi e nativi non sono passati invano.
Vi erano una volta fiabe che parlavano dei lupi cattivi, oggi le fiabe parlano di lupi buoni ma sempre di fiabe si tratta , la storia, quella cruda e asettica, è un’altra cosa.
F.T.