Era il 21 luglio dell’anno 2000, mi trovavo a Dalpe (esattamente dove sono ora, e nella stessa camera) ed erano le 7 del mattino. Mi raggiunse, improvvisa e sconcertante, la notizia della morte di Giuseppe Buffi, consigliere di Stato, avvenuta il giorno prima a Chioggia, dove trascorreva le vacanze con la famiglia,
Dapprima maestro, poi giornalista e direttore del Dovere, municipale di Bellinzona. Dal 1986 al 2000 in Governo, capo della scuola ticinese, con i suoi compagni di partito Claudio Generali, Dick Marty e Marina Masoni.
Subito dopo il naufragio del CUSI, affossato senza scampo dal referendum, Carlo Speziali si dimise. Il subentrante era Giuseppe Buffi, che si ritrovò consigliere in carica alle (drammatiche) elezioni del 1987.
Un anno decisivo per la politica ticinese. Il PPD era pericolante e tentò di salvarsi creando due liste (“sopra” e “sotto”). La sinistra “rivoluzionaria”(si potrebbe anche dire “sessantottina”) mandò Martinelli all’assalto del socialdemocratico Bervini, che ricevette un chiaro sostegno dai radicali dalle colonne del Dovere. Ciò innescò una forte reazione gazzettiana (liberale) proveniente dalle rive del Ceresio.
Volarono parole grosse e, confessiamolo, fu emozionante. Buffi rischiò brutto ma si salvò. Non così Caccia, che perse il seggio. Due socialisti (un unicum) in governo!
Claudio Generali, ricordo, era furioso, e ai festeggiamenti alla Bora da Besa – al grido di “non c’è niente da festeggiare!” – mandò a casa la banda. I musicanti si ritrassero con la coda tra le gambe.
Quello che Speziali non riuscì a fare, lo fece Buffi. Manovrando abilmente e con discrezione egli seppe evitare che si formasse una coalizione contro il nuovo*** progetto universitario. Oggi l’USI è una realtà e la via che passa davanti all’USI porta, con merito, il suo nome. Il giudizio politico sulla sua morte è obbligato: per il partito liberale una perdita enorme. Anche per il paese, s’intende.
Il maestro Buffi per 14 anni diresse la scuola ticinese ed io sono stato uno dei suoi numerosi docenti. Rispetto a tanti colleghi l’ho conosciuto più da vicino, a causa del rapporto alquanto conflittuale che intrattenevo con il mio stesso istituto. Egli con me fu umano, acutamente psicologo, talvolta severo, talaltra ironico e sdrammatizzante. Vorrei dire: giusto. Ho un ottimo ricordo di lui, e spesso ripenso a quegli anni.
***e oggi attendiamo il nuovo rettore