I Comunisti votano NO !
Paolo Pamini, esponente di Area Liberale, in riferimento alla votazione sul reddito di base incondizionato l’ha definita un’iniziativa che “introdurrebbe il comunismo dalla porta di servizio”. Visto che di comunismo dovrei saperne qualcosa, vorrei provare a replicare al collega deputato. Non prima, però, di fare una premessa: a differenza di quello che pensa Pamini, il Partito Comunista – colpo di scena? – ha deciso che non sosterrà l’iniziativa il prossimo 5 giugno, perlomeno così come formulata. Nulla di eclatante in realtà, poiché sul piano nazionale si sono espressi criticamente anche altre realtà di sinistra e sindacali.
Sostiene Pamini che “il comunismo era basato sul principio ‘a ciascuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le sue capacità’. Il reddito incondizionato si propone esattamente questo”. In realtà il concetto ‘a ciascuno secondo i suoi bisogni’ è stato espresso da Marx unicamente per il momento più avanzato della società comunista. Per arrivare al comunismo occorre però una lunga fase di transizione chiamata socialismo in cui il principio rimarrà: “a ciascuno secondo il suo lavoro”. Ed è quello che vige nei paesi socialisti di oggi come di ieri. Eh già… poiché condizione per il superamento del capitalismo in Marx è non solo l’accumulazione primaria di capitale (quello che Lenin fece nei primi anni in Russia oppure quello che oggi compiono, ad esempio, in Vietnam e a Cuba), ma anche lo sviluppo delle forze produttive. Dirò di più: è proprio la contraddizione crescente tra lo sviluppo dinamico delle forze produttive da un lato e la staticità dei rapporti di produzione dall’altro la quintessenza della filosofia marxista. Insomma: altro che livellamento!
Quindi no, caro Pamini, da un punto di vista strettamente marxista il reddito universale di base in una società capitalista (e sottolineo: nel sistema capitalista) non è una misura realistica per risolvere le contraddizioni sociali, ed è anzi vista quasi come un’elemosina, una scelta filantropica che è in sé estranea al socialismo scientifico. Potrà esistere, invece, una sorta di reddito di base in una società socialista? Certo che sì, ad esempio attraverso forme molto estese di salario indiretto, calmierazione dei prezzi, salario studentesco, diminuzione delle ore di lavoro a parità di salario, assicurazioni sociali, ecc.
Un reddito di cittadinanza come proposto oggi nel nostro Paese rischia invece di essere una idea accattivante ma problematica, almeno vista da sinistra. A Pamini, invece, l’idea dovrebbe allettare, poiché il reddito incondizionato porta con sé il rischio di un’ulteriore atomizzazione della società con un aumento dell’individualismo. Non manca peraltro una certa curiosità a destra fra chi lo ritiene un primo passo per “razionalizzare” e poi smantellare uno stato sociale ritenuto pachidermico.
Mi si permetta di chiudere con un sorriso: ma il socialismo reale era la società dell’ozio dove la produttività era bassa e tutti vivevano grazie ai sussidi statali, oppure era la società in cui tutti lavoravano a ritmi serrati e sotto controllo poliziesco? Delle due l’una! Capisco i luoghi comuni e le necessità della propaganda ma, alla fine, gli anti-comunisti si vogliono decidere?
Massimiliano Ay, segretario politico del Partito Comunista e granconsigliere