Non è stato facile realizzare questa intervista. La giovane artista Aymone Poletti aveva già scritto una serie di articoli di grande interesse per Ticinolive ed a un certo punto il direttore ha pensato che fosse giunto il momento di proporle un’intervista. Accettata. Bene, tutto fatto, tutto perfetto? Non sia mai detto, le risposte non arrivavano mai. L’artista era troppo modesta, l’artista era troppo timida? Alla fine – ma ce n’è voluta –  la tenacia del direttore l’ha avuta vinta.

Ecco dunque a voi Aymone Poletti, la sua vocazione all’arte, le sue tecniche particolari, le sue molteplici attività, la Lugano delle gallerie e dei galleristi.

Un’intervista di Francesco De Maria.

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Francesco De Maria  Lei è un’artista ma – se dovesse per forza essere altro – che cosa vorrebbe essere?

ay-1Aymone Poletti  Ho la grande fortuna di poter essere libera di esprimermi e perciò non potrei desiderare altro. Mi sono tolta alcune curiosità professionali e, di conseguenza ho potuto -nel mio piccolo- già collaborare in diversi ambiti (dal teatro, alla radio, alle associazioni culturali …). Jean Cocteau amava dire “Je saute de branche en branche, mais toujours dans le même arbre” (quello dell’arte). A tornare indietro, magari il destino avrebbe potuto portarmi a vivere altre esperienze e a fare altre scelte. In quel caso non è escluso che mi sarei maggiormente soffermata sullo studio della psicologia umana, del suo evolversi, e di certi tipi di “demenza” che si sviluppano con l’avanzare dell’età.

Quante e quali fasi si possono distinguere nella sua ancor breve vita artistica?

AP  Sono architetto di formazione, e espongo professionalmente in Svizzera e all’estero dal 2000. Le mie opere si trovano sia in collezioni pubbliche sia private, in Svizzera e all’estero. Già da piccola ero interessata all’arte. Accompagnavo i miei genitori ai vernissages, ero appassionata nel vedere gli ateliers degli artisti e il loro modo di creare. Il passo successivo è stato una naturale conseguenza del primo.

Ci sono stati diversi periodi espressivi, certo, ma è difficile definire delle vere e proprie fasi. In ogni momento si è in costante evoluzione. Ho iniziato naturalmente con il mio retaggio in architettura per poi spaziare alle tecniche miste e ad un discorso più intimo, approfondendo le mie competenze grazie al sostegno di diversi artisti che hanno avuto la pazienza di insegnarmi e mi hanno sempre sostenuta nel mio percorso. In seguito, una parte fondamentale l’ha fatta l’indagine personale. Per la mia ricerca, ho potuto usufruire di un soggiorno alla Cité des Arts di Parigi e in quell’ambito ho seguito dei corsi negli ateliers aperti dell’Académie de la Grande Chaumière. Indimenticabile! Per me è vitale non bloccarmi su un concetto, bensì, partire da questo per andare avanti. Si è conclusa da poco una mia mostra alla De Primi Fine Art di Lugano, e ho nuove idee da sviluppare … Il processo artistico, per me è concepito sia come elaborato mentale sia come processo fisico.
 In questo sistema è fortemente integrata una componente di casualità che mi permette di stupirmi ogni volta di fronte all’opera appena nata.

Ci illustri la tecnica che lei usa attualmente per le sue creazioni.

AP  Uso molte tecniche perché la ricerca di nuovi mezzi espressivi mi affascina e questo implica un rigore maggiore per non essere dispersivi. Al momento nelle mie opere vengono approfondite tre tecniche: una è la monotipia, un’altra è la cianotipia e l’ultima consiste in un particolare procedimento di bollitura al sale.

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Monotipo

Il monotipo è un procedimento che resta di stampa, ma che ha la caratteristica di sfruttare la matrice calcografica non per moltiplicare l’immagine, ma per ottenere impressioni originali, uniche, in cui il segno pittorico viene apposto in modo speculare, mediato da una lastra che appoggia il colore sul foglio con pressione calibrata: un’operazione di sottrazione rispetto all’intensità di un segno apposto direttamente sulla carta.

La cianotipia è, invece, un antico metodo di stampa fotografica caratterizzata dal tipico colore Blu di Prussia (da qui il nome che deriva dal greco antico kyanos, “blu”). In poche parole sfrutto la luce del sole per “stampare” un’immagine su carta.

aym-3-aymone-poletti-cianotipie-2Cianotipo

Per quanto riguarda la tecnica al sale: si tratta di elementi – in questo caso una serie di fotografie originali d’epoca (anni ‘30 e ‘60) oppure immagini attuali sviluppate ancora con pellicole Polaroid originali – che vengono bollite e lavorate da sali, acidi e inchiostri giapponesi durante alcuni giorni.
 L’immagine appare modificata, deformata dal calore e dalla corrosione e si riflette nel significato della fragilità umana. Il ricordo che rappresenta ne appare come fossilizzato, eroso dai sali, confuso, cristallizzato e mutato a placche. Il tutto diventa dunque una metafora sulla nostra condizione e sul tempo che scorre: le fotografie sono, infatti, il simbolo per eccellenza della memoria, perché “bloccano un attimo”, fermando il tempo. Tramite questo procedimento esclusivo, io effettuo una distorsione meccanica alla memoria: i ricordi scompaiono e si mutano a causa del dissolversi fisico dell’immagine sulla stampa originale.

aym-1-from-my-balcony-aymone-polettiTecnica al sale

Ci descriva il suo atelier.

AP  Il mio atelier è una caotica isola felice dove posso creare in tranquillità e dove mi posso ritirare in un paradossale e necessario silenzio mentale che ribolle di nuove idee.

Lei è anche insegnante. Che cosa insegna ai suoi allievi?

AP  Ci sono diverse cose che amo insegnare, e nel mio atelier gli allievi vengono stimolati a creare e a trovare nuove vie espressive: certo, insegno e condivido le tecniche miste che ho imparato, ma principalmente desidero trasmettere la voglia di dipingere in modo indipendente… per me è fondamentale imparare le tecniche pittoriche di altri artisti senza ricopiare, bensì decodificando l’opera e andando ad attingere alle proprie potenzialità per creare qualche cosa di nuovo. Ascoltando noi stessi, è possibile esprimere le nostre emozioni su carta, trasformando l’energia in tratti e in segni. Da me non impara a dipingere dal vero, a fare dei “bei disegni” ma si impara a “tirare fuori” scoprendo il vero potenziale creativo di ognuno di noi! Per questo che, oltre all’insegnamento, mi occupo anche di consulenza e coaching per altri artisti professionisti.

Nomini un pittore che lei considera un suo maestro. Anche più d’uno, se crede.

AP  Questa è una domanda difficile. Non mi fossilizzerei su di un solo nome o un solo campo. Ci sono diverse fonti di ispirazione per ogni fase della vita. Iniziamo semplicemente con il “locale” Fritz Huf (lui era già morto da anni ma i primi ricordi in una casa d’artista li ho avuti indirettamente grazie alla vedova dell’artista) per poi arrivare a Monet, Klee, Feininger… senza dimenticare che una grandissima fonte di ispirazione per me è stata la lettura e la scoperta, per esempio, di Italo Calvino con le sue “città invisibili”… È lo spazio in cui sono convissuti la fiaba e il sogno, e dove tutto per me è diventato poesia visiva. I maestri invece per me sono tutti quelli che hanno creduto in me e che si sono presi il vero tempo di insegnarmi, anche se il mio percorso espressivo è poi forse stato completamente diverso dal loro. Per citarne alcuni in ambito artistico: Elisa Richle, Antonella Gabrielli, Ro Milan, Loredana Müller, Manlio Monti, …

Lei ha collaborato in varie occasioni all’organizzazione di mostre. Come si organizza una mostra?

AP  L’organizzazione di una mostra non va azzardata, necessita passione, tempo, flessibilità e una buona dose di sano pessimismo per prevedere e prevenire tutto quello che eventualmente potrebbe andare storto. La versione relativistica della legge di Murphy (Se delle cose dovranno andare storte, avverranno tutte nello stesso tempo) può venire dunque utile in certi casi!

Ogni galleria ha certamente il proprio “modus operandi” per la pianificazione di una mostra e ogni mostra ha un proprio sviluppo indipendente che richiede un’attenzione specifica: si deve pianificare, organizzare, scegliere e curare una mostra in tutti i particolari, che si delinea dai primi contatti con l’artista per poi culminare con l’evento “mondano” del vernissage. E in questo caso siamo in piena “vetrinizzazione sociale”. Il vero successo lo otteniamo quando tutti hanno dimenticato le fatiche e gli sforzi per raggiungerlo.

Lei ha studiato architettura. Perché non fa l’architetto?

AP  L’architetto progetta e costruisce … posso perciò dire che sì, in un certo senso faccio comunque sempre l’architetto: pianifico e realizzo i miei progetti e do le mie consulenze perché altri possano realizzare i loro. Detesto le definizioni a chiusura stagna. In sé sono architetto perché ho studiato architettura, ma ho anche studiato mediazione e arts management. Questo definisce il mio percorso e definisce il mio “essere” in ambito professionale e artistico. Ne scaturisce un pacchetto di competenze un po’ diverse dai canonici sentieri battuti, … lo interpreto come un valore aggiunto che posso utilizzare sia per me sia per aiutare gli altri.

Ci parli dell’Accademia di Architettura di Mendrisio, che ha frequentato. Quali i suoi punti forti? Quali i deboli (se ne ha)?

AP  Ho avuto la fortuna di iniziare gli studi quasi 20 anni fa, nell’allora neo-nata Accademia di architettura. Lo spirito era pionieristico, gli insegnanti mitici. Abbiamo avuto corsi (e incontri) memorabili con personaggi del calibro di (tanto per citarne alcuni) Benevolo, Toscani, Botta, Galfetti, Cacciari, Szeemann, Zumthor, Monguzzi … Probabilmente all’epoca non ci rendevamo neanche conto di quello che ci stava succedendo sotto il naso. I compianti Alfredo Pini e Panos Koulermos sono gli architetti che mi hanno accompagnata maggiormente nel mio percorso e mi hanno sostenuta nelle mie scelte “poco” architettoniche. Come detto, io posso parlare dell’accademia di Architettura di ormai 20 anni fa e non ho le competenze per pronunciarmi sull’attuale Accademia.

Io e lei viviamo a Lugano. Io penso che la mia amata città sia, quanto all’architettura, mediocre. Nucleo storico quasi inesistente, molte costruzioni banali, eccetera. Lei è d’accordo con me?

AP  La città ha sofferto molto per l’abbattimento di stabili d’epoca e di qualità. Un nucleo storico ha un valore turistico aggiunto se possiede un centro città protetto e architettonicamente tutelato. Non è purtroppo stato il caso per Lugano. Adesso si cerca di salvare il salvabile.

Qual è il più bell’edificio della città?

AP  … quello che deve essere ancora costruito… Posso invece dirle quale è una delle vie che preferisco: la via Pasquale Lucchini che è riuscita a preservare un po’ di quella bellezza storica che mi manca molto a Lugano.aym-2-aymone-vitra

Il LAC ha un anno di vita. È molto presto ma un primo bilancio si può anche tentare. Come valuta: la programmazione? Il livello artistico? La rispondenza del pubblico? La “resa” turistica? L’effetto dinamizzante sulla vita culturale della città?

AP  Secondo me il pubblico si è già affezionato al Lac e la programmazione è ricca e di qualità… a mio parere però ci si potrebbe con il tempo permettere di “osare” di più, molto di più!

Le gallerie a Lugano spuntano come funghi, è in atto un vero boom. Sintomo di un frenetico amore per l’arte? Di un vasto e promettente mercato? O c’è dell’altro?

AP  A Lugano c’è grande abbondanza di gallerie, e ne nascono continuamente di nuove. La città deve sfruttare questa enorme potenzialità culturale e turistica. Ma è necessario un criterio serio. Il pubblico sa distinguere una mostra di qualità e anche le gallerie di qualità… di conseguenza, chi lavora con dedizione e passione porta avanti un discorso culturale che non soffre di potenziali sovraffollamenti.

Mi faccia l’identikit del più tipico acquirente di opere d’arte, di “colui che compra”.

AP  Mi dispiace ma non me la sento di ridurre le persone a stereotipi. Ogni acquirente d’opere d’arte, se ha la passione, vive in un mondo tutto suo ed è lui stesso un mondo a parte. C’è chi acquista per alimentare la propria collezione, chi unicamente per pura passione, chi per curiosità, chi per sostenere gli artisti viventi… Per me, vedere lo sguardo di qualcuno brillare mentre acquista un’opera d’arte è pura meraviglia! Gli speculatori invece si trovano in una categoria a parte, sia in ambito artistico sia in qualsiasi altro ambito legato al commercio e si muovono sempre allo stesso modo.

La prima edizione di Wopart è stata un successo?

AP  È stata un successo di sicuro dal punto di vista qualitativo e quantitativo, con più di 50 gallerie d’arte esponenti. Trovo che sia stato fatto un ottimo lavoro per allestire la fiera. L’interno del padiglione Conza era praticamente irriconoscibile.

Tra tutte le grandi gallerie del mondo, qual è la sua prediletta?

AP  Più che le gallerie sono i galleristi, le galleriste e i curatori che mi affascinano. Come vivono, come si muovono… come definiscono i loro gusti estetici? Seguono le mode o il loro istinto? Avrei voglia di conoscere la gallerista Barbara Gladstone delle omonime gallerie di NY e Bruxelles. Oppure spesso mi chiedo: che personaggio è in realtà Charles Saatchi? E François Pinault? Mi piacerebbe bere un caffè con Marina Abramović ed ascoltare qualche aneddoto sulla sua vita.

Mi dica che differenza c’è tra un’opera autentica e un falso perfettissimo.

AP  La vera differenza consiste nel mito che sta dietro l’opera, l’aura che ne scaturisce, la possibile leggenda. Il pubblico ha bisogno di vivere un’emozione per poi poter condividere l’esperienza con altri, di diventare parte dell’evento stesso. Potrei dunque parlare di teatralizzazione di un evento, il quale rende un’opera autentica degna di essere tale.

Che cosa pensa del modo di comportarsi del famoso critico Vittorio Sgarbi?

AP  Sgarbi è un uomo colto e dalle indubbie capacità (è un critico d’arte, storico dell’arte, opinionista, scrittore, personaggio televisivo e politico italiano e per fare tutto questo ci vuole una grande energia) che per distinguersi si è creato un “vestito” da personaggio pubblico sicuramente un po’ stretto ma d’effetto, e che probabilmente ora indossa anche perché è diventato vittima del suo stesso personaggio e non potrebbe fare altro. Si conosce di più Sgarbi per la sua inconfondibile irascibilità, anzi… non fosse così ci si preoccuperebbe per il suo stato di salute. Quando lo si invita sono convinta che sotto sotto si spera in una polemica o in un “coup de théâtre” a ravvivare gli incontri e a permettere appunto che l’esperienza del pubblico sia unica e memorabile. Ritorniamo dunque alla teatralizzazione di un evento.

Per concludere, una domanda assassina. Se all’improvviso le dicessero: “Lei non può più fare l’artista, deve lavorare come impiegata d’ufficio!” come reagirebbe?

AP  Premetto che ogni lavoro è una benedizione per chi lo possiede, dunque, non mi tirerei indietro, anzi… e sicuramente troverei comunque un modo per portare avanti la mia passione artistica!

I suoi progetti futuri?

AP  A breve, a Chiasso, ci sarà la mostra “Donazioni I. Percorsi della creatività dal novecento al nuovo Millennio” prevista nell’ala laterale del m.a.x. Museo, Lo Spazio Officina, nella quale verrà esposto anche un mio lavoro. La mia prossima mostra personale, intitolata “Segni di sale” sarà invece a fine novembre nello studio Meyer&Piattini e sarà concepita come un “cabinet de curiosité”… affaire à suivre!

Esclusiva di Ticinolive. Riproduzione permessa con citazione della fonte.